Afghanistan, le forze di sicurezza ancora non sparano da sole
15 Maggio 2010
Si è conclusa in settimana la visita di quattro giorni di Hamid Karzai a Washington. Nonostante i dubbi che a lungo hanno preceduto questo avvenimento, il presidente afgano è stato accolto con insperato affetto, considerati i tanti distinguo e le pressioni che sin dalla sua rielezione hanno contraddistinto le dichiarazioni dell’amministrazione Obama. Ma a quanto pare la nuova parole d’ordine del Presidente americano è: fiducia. Probabilmente alla Casa Bianca hanno capito che non ci sono al momento alternative valide al governo in carica, con il quale bisognerà quindi continuare a fare i conti a lungo.
Tra l’altro seguitare a mantenere una posizione ambigua, per cui da un lato si critica il governo ed il presidente Karzai, mentre dall’altro lo si appoggia, rischia di creare solo confusione e indebolire l’immagine stessa degli Stati Uniti. Dunque toni smorzati e grandi sorrisi, anche se i problemi del governo afghano sono quelli di sempre. La corruzione continua ad essere una piaga aperta, tanto più dolorosa perché contribuisce a minare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, spingendoli frequentemente a preferire la protezione tribale dei talebani piuttosto che i soprusi dei governatori. Alla corruzione si aggiungono altri problemi (ad esempio la scarsissima alfabetizzazione) in parte fisiologici in un paese povero e sottosviluppato come l’Afghanistan, in parte invece ingiustificabili, soprattutto considerando gli investimenti fatti nel paese degli aquiloni.
Da questo punto di vista, nonostante gli sforzi di NATO e Stati Uniti, desta preoccupazione la bassa qualità delle forze di sicurezza afghane, come rilevato anche dal Pentagono in un recente report inviato al Congresso. L’incapacità di Kabul a provvedere autonomamente alla sicurezza delle aree sottratte ai talebani resta pertanto uno dei nodi centrali da sciogliere. Ma il lavoro da fare resta ancora molto. In un editoriale pubblicato sul New York Times alla vigilia del viaggio di Karzai, si nota come “dei 5.200 addestratori ritenuti necessari in base agli accordi di gennaio tra Stati Uniti ed alleati NATO, ne sono stati inviati per il momento solo 2.700, quasi tutti americani”. In sostanza il NYT punta il dito contro gli alleati della NATO, colpevoli secondo il quotidiano newyorkese, di non fare la propria parte. Sulla stessa linea anche la risposta di Ashraf Haidari, Political Counselor dell’ambasciata afghana a Washington, che ha scritto “mentre apprezziamo i consistenti sforzi degli Stati Uniti per accelerare il processo di afghanizzazione del settore della sicurezza, ci aspettiamo che i partner della NATO si prendano le proprie responsabilità e facciano la propria parte”.
Peccato però che da un’analisi più approfondita emerga una verità un po’ diversa. In un interessante articolo apparso recentemente su Newsweek e ProPublica la questione è affrontata più nel dettaglio ed emergono le chiare responsabilità degli Stati Uniti. I principali problemi, infatti, sono legati innanzitutto alla iniziale volontà del governo americano di appaltare l’attività di formazione a contractor esterni. Fu il Generale Richard Formica, predecessore dell’attuale Comandante dello “U.S. program to expand and improve Afghanistan’s security forces” Generale William Caldwell, a decidere di riportare le attività di training sotto il diretto controllo della Difesa.
Fino a quel momento la maggior parte delle attività erano appaltate alla DynCorp International, scelta che evidentemente non ha dato buoni frutti. Come riconosce lo stesso Caldwell “una forza di polizia militare, come quella italiana o quella francese, ha una coerente e disciplinata linea di comando”, niente a che vedere quindi con un’unità di contractors che è composta da una “varietà di persone, che possono essere uno sceriffo, un poliziotto, o una guardia di frontiera, ciascuno abituato ad operare in base a standard diversi e con esperienze molto diverse alle spalle”. Una situazione in cui, in sostanza, diventa impossibile fornire una linea coerente all’attività formativa. Di fatto, anzi, per dirla ancora con le parole del Generale Caldwell, “in otto anni non li abbiamo mai addestrati, gli abbiamo semplicemente dato un’uniforme”. Non stupisce quindi che le forze di polizia afghane non siano assolutamente preparate a svolgere il proprio ruolo, tanto più se a quanto detto sopra si aggiunge lo scarso livello delle persone selezionate per entrare a far parte della Afghan National Police (ANP), quasi sempre provenienti da villaggi rurali, semianalfabeti, e scarsamente interessati alla sicurezza della popolazione.
Ma a quanto pare le cose stanno cambiando; finalmente qualcuno sembra ascoltare le richieste dei comandanti sul campo, come il Generale Larry Nicholson, Comandante degli U.S. Marine nel sud dell’Afghanistan, che da tempo nota: "Preferirei avere un poliziotto ben addestrato, piuttosto che dieci male addestrati". E proprio per raggiungere questo risultato è stato incrementato l’impegno dei nostri militari, in particolare del personale dell’Arma dei Carabinieri, che nel corso degli anni ha sviluppato un’esperienza eccezionale in materia, riconosciuta a livello internazionale. L’avvento di 35 carabinieri a Kabul viene descritto da Christian Miller, il reporter che ha realizzato l’articolo, come un momento di svolta.
Miller racconta come grazie al lavoro dei nostri militari sono stati corretti tanti errori, dall’allineamento del fuoco degli AK-47 e degli M-16 alla pratica di tiro, apparentemente piccoli dettagli che però messi tutti insieme fanno la differenza. D’altra parte da quando i contractors sono stati sostituiti, e si è deciso di badare più alla qualità che alla quantità, nell’ambito degli 8 corsi svolti interamente dall’Arma dei Carabinieri sono state addestrati 1.189 poliziotti della Afghan National Civil Order Police (ANCOP), l’unità di elite della polizia afghana, che dovrà essere impiegata nelle zone più “sensibili” come per esempio a Marja, l’ex roccaforte talebana recentemente liberata dalla forze alleate. I risultati raggiunti in pochi mesi fanno ben sperare per il futuro, per il quale, non a caso, è già previsto un ulteriore schieramento di assetti specialistici per l’addestramento, il mentoring ed il monitoring nei confronti dell’ANP.