Elezioni in Birmania, al regime piace vincerle senza avversari
03 Aprile 2010
In Birmania dopo venti anni ci svolgeranno le prime elezioni politiche, ma la Lega Nazionale per la Democrazia (NlD), il maggior partito di opposizione guidato dal premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, non vi potrà partecipare. La decisione di non scendere in campo è stata presa all’unanimità dai 113 membri del consiglio direttivo del NlD per opporsi alla norma, varata dalla leadership militare, che impedisce a chiunque sconti una pena detentiva di appartenere a un partito. In pratica, un modo per liberarsi di Aung San Suu Kyi e di altri dirigenti del partito perseguitati e condannati a pene detentive, circa duemila e cento persone secondo l’ONU.
L’allarme lo lancia dalle pagine del Washington Post il giornalista birmano Win Tin, ottanta anni (19 trascorsi in carcere, da leggere “L’esperienza di 7mila giorni in prigione” ), figura di primo piano dell’opposizione democratica e co-fondatore del NlD. Per il dissidente birmano questa legge,denominata The Political Party Registration Law , è “un ostacolo per limitarci ancora di più: il colpo finale che il regime dei generali vuol dare all’opposizione; la direttiva emanata dai militari servirà a stabilire una dittatura permanente, visto che accettarla significherebbe rinunciare, oltre che Aung San Suu Kyi, a tutti i detenuti che sono o sono stati imprigionati: senza di loro,il nostro partito non sarebbe nulla”.
La legge elettorale, inoltre, impedisce ai membri di ordini religiosi (i monaci buddisti sono stati una delle forze motrici della protesta nel settembre 2007 ) e impiegati statali di aderire a partiti politici. Gli schieramenti hanno 60 giorni di tempo (a partire dall’8 marzo scorso ) per la registrazione al Comitato elettorale, la cui nomina è nelle mani della giunta militare, e la mancata registrazione (entro il 6 maggio) significherà dichiarare il partito “movimento fuorilegge”.
Il diktat dei generali, oltre ad essere un ennesimo calcio al popolo birmano, è anche uno schiaffo in faccia a Stati Uniti, Unione europea e Asean (l’associazione che riunisce i Paesi del Sud-est Asiatico) che avevano invocato elezioni all-inclusive, garantendo a tutti i candidati la partecipazione. Anche il Segretario Generale dell’ONU Ban Ki Moon si era impegnato a risolvere “la questione birmana” e Tomás Ojea Quintana, come inviato speciale delle Nazioni Unite, vorrebbe istituire una commissione d’inchiesta per indagare sui crimini di guerra e contro l’umanità commessi dalla giunta militare.
Per Win Tin, però, “il sostegno degli organi internazionali è ancora troppo latente, quindi non basterà; la nostra paura è che le dichiarazioni dei leader internazionali non saranno integrate da misure efficaci per risolvere la crisi della politica birmana. I governi del mondo dovrebbero opporsi fermamente alle elezione indette dal regime e premere affinché ci siano sostanziali cambiamenti: in primis, il rilascio immediato di tutti i prigionieri politici, compresa Aung San Suu Kyi, e la cessazione della campagna militare del regime contro le minoranze etniche”. Ma in attesa di supporto concreto da parte della comunità internazionale, il maggior partito di opposizione (nel 1990 vinse le ultime elezioni con l’82% dei consensi ) rischia di essere spazzato via dalla scena politica, oltre a restare oggetto della repressione del regime militare.
Cionostante, attraverso le parole di uno dei suoi maggiori esponenti pubblicate dal Washington Post, fa saper al mondo che continuerà a combattere: “La Lega Nazionale per la Democrazia non scomparirà perché siamo tra la gente, con la gente. Continueremo a lottare per la democrazia, per i diritti umani e per l’uguaglianza tra tutte le etnie perché è l’unico modo per smantellare la dittatura militare. Per questo, ci puniranno duramente”.