La cena di Arcore rinsalda l’accordo sulle riforme fra Lega e Pdl
07 Aprile 2010
Cena ad Arcore, dove il premier ha riunito tutti i pezzi da novanta di Lega e Pdl. Dopo il successo elettorale alle regionali, il governo rilancia immediatamente sulle riforme, il tema più cavalcato durante la campagna elettorale. Ma prima di mettere mano a coltello e forchetta, Silvio Berlusconi doveva essere certo che le decisioni fossero condivise nella maggioranza prima ancora che con l’opposizione, al fine di inaugurare una nuova stagione di governo per i prossimi tre anni. E’ per questo che ieri sera fra Berlusconi e il leader del Carroccio Umberto Bossi si è tenuto l’annunciato incontro, interlocutorio, prima dell’Ufficio di presidenza del Pdl di oggi a Roma.
Fra i primi ad arrivare sono stati i tre coordinatori del Pdl Denis Verdini, Ignazio La Russa, ministro della Difesa, Sandro Bondi, ministro dei Beni Culturali e Giulio Tremonti, ministro dell’Economia. Ma poi attorno al tavolo si sono seduti anche il ministro della Semplificazione legislativa Roberto Calderoli, Roberto Cota, capogruppo uscente della Lega Nord alla Camera e appena eletto alla presidenza della Regione Piemonte. Anche il figlio di Bossi, Renzo, neo eletto consigliere regionale in Lombardia. A tavola, tra una portata e l’altra, i big della maggioranza hanno avuto più di una questione da chiarire.
Prima fra tutte il cosiddetto "rimpastino" di governo, ovvero la sostituzione al ministero dell’Agricoltura di Luca Zaia, uscito vincente dalla competizione elettorale in Veneto: Giancarlo Galan sembra essere il favorito. Poi, la formazione delle Giunte regionali. Ma è stato servito anche un altro "piatto", questo, particolarmente scottante: incassato il "mandato forte" dagli elettori grazie alle Regionali e conclusa la pausa pasquale, infatti, Silvio Berlusconi ha subito riaperto il fascicolo Riforme. Federalismo fiscale, Giustizia e Istituzioni sono i vari capitoli del progetto di riforme più volte annunciate dal premier. Temi che la maggioranza vuole affrontare insieme all’opposizione, ma con un avvertimento perentorio: pronti anche a fare da soli. Per quanto riguarda il federalismo tutto sembra filare liscio, per il momento. Entro il 30 giugno, il Governo trasmetterà alle Camere il primo decreto di attuazione.
Sulla giustizia, invece, l’accordo non sarà affatto scontato e si comincerà al più presto con il contestato ddl sulle intercettazioni, ora in Senato. Su questo fronte saranno possibili delle modifiche al testo licenziato dalla Camera a fronte dei vari emendamenti presentati in Commissione Giustizia. In cantiere anche la modifica del processo penale, separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri e composizione del Consiglio superiore della magistratura, sulla quale sembra che il Ministro della Giustizia Angelino Alfano starebbe studiando l’eventualità di un’elezione ”per sorteggio”. Ad ogni modo, nelle sale di Villa San Martino si è discusso anche delle riforme che potrebbero essere approvate insieme all’opposizione, come la riduzione del numero dei parlamentari e la trasformazione dell’attuale Senato in Camera delle Regioni o senato Federale.
A ravvivare il dibattito nella maggioranza al rientro dalla pausa festiva, ci aveva già pensato ieri Roberto Maroni, che dalle pagine del Corriere della Sera aveva auspicato la formulazione di "una proposta di grande riforma della Costituzione" guidata dalla Lega. Una regia che, secondo il ministro dell’Interno, spetta a Umberto Bossi e Roberto Calderoli. Assegnare alla Lega Nord la riforma costituzionale, aveva dichiarato, "credo sia il riconoscimento del nostro straordinario successo. Siamo pronti e soprattutto abbiamo la capacità per farlo. Anche Berlusconi – ha poi precisato – sa che se davvero vuole fare la grande riforma non può che affidarsi alla Lega". Per il ministro le priorità sono "Senato federale e nuova riforma del titolo quinto" in una combinazione tanto semplice quanto lapidaria: "Poche materie allo Stato, tutto il resto alle Regioni", aveva annunciato. E poi subito la riduzione dei parlamentari ed il "Semipresidenzialismo alla francese".
Un assist intercettato velocemente dai finiani che a rimanere fuori dal gioco non ci tenevano affatto. Italo Bocchino (Pdl), promotore di GenerazioneItalia, ha infatti ricordato quanto Gianfranco Fini sia "il più convinto assertore dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica" ma è anche colui che, secondo Bocchino, "potrà esercitare il ruolo di pivot nella partita delle riforme, aiutando la maggioranza nel dialogo con l’opposizione e nell’interlocuzione con il Quirinale". Un leit motiv seguito anche dal vice presidente dei deputati Pdl Carmelo Briguglio: "È dal Parlamento – ha detto – che dovrà passare il percorso delle riforme. Dal Parlamento, e dal presidente della Camera Gianfranco Fini".
Ad ogni modo, chi ha parlato con Berlusconi non smette di sottolineare in queste ore come per il premier la forma di governo non sia la partita decisiva: l’importante è dare maggiore governabilità. Le priorità del Cavaliere restano la giustizia (prima di ogni altra cosa) e il fisco, la riforma che secondo i sondaggi interessa di più agli elettori. Entrambe sono affidate a uomini di punta del Pdl: Angelino Alfano e Giulio Tremonti. Più complessa poi, la questione dei rapporti fra Berlusconi e Fini. Ma questa è tutta un’altra partita, che si giocherà in questi giorni a Roma.