
La vicenda Unipol non finisce con Visco

06 Giugno 2007
Forse non sarà la pur traballante aritmetica di Palazzo Madama a sancire ufficialmente il coma irreversibile. L’idea del furbo Clemente Mastella di trovare i numeri su una mozione di retorico “apprezzamento” nei confronti della Guardia di Finanza sembra aver fatto breccia fra i capigruppo dell’Unione, e, salvo l’avverarsi dei colpi di scena promessi dal fantasista della Cdl Roberto Calderoli, non è escluso che sul filo del rasoio la maggioranza, numericamente parlando, possa cavarsela.
Basterà? Probabilmente no. I ripetuti appelli al Quirinale stanno a significare che il centrodestra non ha alcuna intenzione di abbassare i toni, ma piuttosto di prodursi in un crescendo rossiniano con il rischio, per dirla con Bertinotti, di “pesanti ricadute politiche”. Per la maggioranza, naturalmente. Che già non gode di buona salute, e se dovesse crollare anche nei ballottaggi di domenica (soprattutto nella Provincia di Genova che ha già rifilato alla sinistra il “disonore” del secondo turno) potrebbe varcare la soglia del non ritorno.
Ma non è tutto. Il fuoco che cova sotto la cenere si chiama Unipol. E il potenziale distruttivo che potrebbe derivare dal prepotente riaffacciarsi sulla scena dell’inchiesta sulla fallita scalata alla Bnl non si esaurisce neppure nello spauracchio delle intercettazioni ancora top secret, che presto approderanno in Parlamento con la richiesta del gip Clementina Forleo di poterne fare uso. Il fantasma dietro l’angolo è il riproporsi della guerra senza quartiere che nell’agosto del 2005, nel pieno del risiko finanziario che investì Antonveneta, Rcs e Bnl, deflagrò fra Ds e Margherita, contigui a blocchi di potere economico l’un contro l’altro armati.
Ricordate? Fu Arturo Parisi a porre all’epoca la “questione morale” dalle colonne del Corriere della Sera. Sull’opa Unipol/Bnl, l’attuale ministro della Difesa sentenziò che “non ci si può trasformare in raider di borsa con l’aiuto del fisco”, accusando i Ds d’aver “esitato in nome del realismo nel farsi le domande giuste”, e d’aver dato, “guidati dall’istinto che porta ognuno a difendere il proprio mondo”, l’impressione “di avallare una regressione neo-corporativa”. Non fu da meno Francesco Rutelli, che allo stesso quotidiano di via Solferino (volente o nolente parte in causa, in quanto prodotto Rcs, nella bollente estate delle scalate) parlò di “mondi della cooperazione che ora stanno muovendosi in direzioni diverse da quelle previste dalla Costituzione”.
E ancora. Ricordate la testimonianza resa da Silvio Berlusconi nel gennaio 2006 ai pm di Roma? Quattro leader del centrosinistra l’anno precedente avevano incontrato, ognuno per proprio conto, il presidente delle Generali Antoine Bernheim. Si dà il caso che in quel periodo il futuro di Bnl fosse di stretta attualità, e che la compagnia assicurativa triestina detenesse una partecipazione pari a circa l’8% nell’istituto di credito allora conteso tra la Unipol e il Banco di Bilbao. Una quota assai appetibile sia per chi caldeggiava l’avventura finanziaria delle cooperative rosse, sia per chi era deciso a difendere da Consorte e compagni una banca che nel suo azionariato di riferimento annoverava quei “poteri forti” allora assai vicini alla compagine prodiana decisa a riconquistare Palazzo Chigi.
La denuncia dell’allora presidente del Consiglio non ebbe conseguenze penali. Ma rese evidente a tutti che se Romano Prodi, Massimo D’Alema, Francesco Rutelli e Walter Veltroni avevano avvertito nelle stesse settimane l’impellente esigenza di incontrare il presidente delle Generali, qualche motivo doveva esserci. Quel motivo, anche se gli interessati si affrettarono a smentire, era probabilmente la scalata di Unipol alla Bnl, e la contro-scalata del Banco di Bilbao. E la portata deflagrante delle rivelazioni di Berlusconi non risiedeva tanto nel fatto che quattro leader dell’Ulivo avessero pranzato o cenato con Bernheim, quanto nella probabile circostanza – nonostante le smentite – che alcuni di loro avessero sollecitato il presidente delle Generali a vendere ad Unipol il pacchetto azionario di Bnl, ed altri avessero avanzato la richiesta opposta.
Se queste sono le premesse, è facile intuire con quale stato d’animo Ds e Margherita si apprestano ad affrontare il dibattito in Senato, ed è ancor più agevole intuire per quale ragione Francesco Rutelli abbia preferito al vertice di maggioranza sul “caso Visco” un convegno di calzaturieri con Montezemolo e Della Valle. E’ difficile che la Margherita abbia voglia di immolarsi sull’altare per gli strascichi di un’operazione finanziaria che aveva sempre avversato. Ed è per questo che, nonostante qualche sortita di maniera, l’onere della pubblica difesa del viceministro sotto accusa è stato sostanzialmente lasciato ai Ds.
Dall’evolversi degli eventi sarà possibile comprendere se questo governo è destinato a sopravvivere, e per quanto tempo ancora riuscirà a tirare a campare. Di certo, anche se lo scoglio della votazione in Senato dovesse essere superato, è probabile che le redivive ombre del caso Unipol getteranno una pesante ipoteca non solo sul futuro della maggioranza, ma anche sulla travagliata gestazione di quel Partito democratico che fra i suoi azionisti di maggioranza annovera proprio quei dirigenti che andavano a cena con Antoine Bernheim per farsi i dispetti l’uno con l’altro.