Quella doppietta azzurra che negli anni Trenta fece sognare l’Italia
04 Giugno 2010
Si parla spesso di date che rappresentano lo spartiacque di un’epoca, in cui si può distinguere nettamente tra un prima e un dopo, tra il pre e il post. Ebbene, il 1930, l’anno di nascita dei Campionati Mondiali di calcio così come li conosciamo oggi, è uno di questi. Un compleanno non certo fortunato e anticipato, solo qualche mese prima, da un evento tanto straordinario quanto terribile. Il Crollo di Wall Street, un periodo della storia del ‘900 durante il quale si ridussero considerevolmente e su scala mondiale produzione, occupazione, redditi, salari, consumi, investimenti e risparmi. Una situazione decisamente poco adatta alla nascita una manifestazioni dispendiosa e superflua che invece, miracolosamente, è fiorita.
In un contesto simile – in Uruguay – viene disputata dal 13 al 30 luglio 1930 la Coppa del mondo Jules Rimet. I giochi furono assegnati ai sudamericani per le celebrazioni del centenario della nazione e per la vittoria degli uruguagi al torneo calcistico delle Olimpiadi 1928. Per l’occasione si misero in campo molte risorse e venne realizzato l’Estadio del Centenario (uno degli impianti più belli dell’epoca) ma nonostante lo sforzo economico numerose nazionali europee declinarono l’invito. Alcune, come Inghilterra e Scozia, per questioni di principio, altre (tra cui l’Italia), per le troppe spese e lo stress di una trasferta transoceanica. Complessivamente, riuscirono nell’impresa di essere presenti a quel grande appuntamento solo 13 squadre, divise in 4 gironi. Prevedibilmente, a conquistare la finale furono Uruguay e Argentina, le più quotate. Il 30 luglio 1930 fu l’uruguaiano Dorado ad aprire le marcature, ma la risposta argentina portò a una rimonta firmata Peucelle e Stábile. Nella ripresa la reazione dell’Uruguay fu tremenda e portò, in 20 minuti, ben 3 reti con Cea, Iriarte e Castro (privo della mano destra, persa in un incidente sul lavoro a 13 anni.). I padroni di casa conquistarono così la finale, vincitori all’esordio ma mai più entrati nell’atto conclusivo di un mondiale.
Curiosamente, già 80 anni fa non mancarono le polemiche legate agli arbitri. Soprattutto alla figura di John Langenus, di professione capo gabinetto del Governatorato di Anversa. Designato per la finale, appena giunse allo stadio venne arrestato e subito rilasciato perché prima di lui ben 13 persone s’erano spacciate – per scherzo – per l’arbitro della gara. Dovette poi risolvere il problema dei palloni da gioco (all’epoca non esisteva un pallone regolamentare come oggi), visto che entrambe le squadre volevano utilizzare i propri, decidendo di utilizzarli entrambi per un tempo ciascuno. Inoltre Langenus accettò di arbitrare la finale solamente 2 ore prima della gara, dopo aver ricevuto le garanzie richieste, ovvero una polizza sulla vita e la possibilità di salpare con una nave per l’Europa appena terminata la partita. Non fu comunque l’unico, in Argentina-Francia l’arbitro brasiliano Rege fischiò la fine dopo 84 minuti di gioco. Ci volle un invasione di campo del pubblico per far riprendere il gioco. Dulcis in fundo, nel match tra Argentina e Messico, il dischetto del calcio di rigore fu piazzato a oltre 14 metri dalla porta, contro i regolamentari 11.
Chiusa la parentesi sportiva nel mondo si torna a pensare a tutt’altro e mentre in Italia viene presentata la Fiat Balilla a New York si completa l’Empire State Building. Nel 1933, però, accade qualcosa che non ha bisogno di spiegazioni. Adolf Hitler viene eletto Cancelliere tedesco. Nelle elezioni i nazisti ricevettero il 44% dei voti e il partito ottenne il controllo della maggioranza con una coalizione con il DNVP. In una successiva serie di decreti vennero soppressi gli altri partiti e bandita ogni forma di opposizione. Di pari passo con l’ascesa nazista in Germania si affermò il fascismo in Italia e fu proprio Mussolini a spingere, nel 1932, per l’assegnazione dei mondiali che si sarebbero svolti 2 anni dopo, dal 27 maggio al 10 giugno 1934. Il regime vedeva difatti nell’organizzazione di un evento d’impatto mondiale la possibilità di promuovere la propria forza e il proprio potere. Le città scelte furono 8: Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Roma, Torino e Trieste.
Alla fase finale presero parte 16 nazioni: 12 europee, 3 americane e (per la prima volta) un’africana, l’Egitto. I campioni uscenti dell’Uruguay rifiutarono di partecipare in risposta a quanto avvenuto nel ‘30, quando tutte le squadre europee, tranne la Jugoslavia, avevano declinato a loro volta l’invito alla competizione. Il torneo non fu tranquillo: da subito si pensò con sospetto all’organizzazione italiana e al favore con cui sarebbe stata accolta dagli arbitri la nazionale azzurra. La squadra di Vittorio Pozzo affrontò comunque la strada verso la finale di Roma con impegno, giungendo infine alla agognata partita del 10 giugno contro la quotata Cecoslovacchia. I tempi regolamentari si conclusero con un 1-1 siglato dal ceco Puc al 71’ e da Orsi all’82’. Nei tempi supplementari il gol decisivo fu messo a segno dall’infortunato Schiavio. Curioso ancora una volta il riferimento all’arbitro del CT dell’Austria Hugo Meisl, che dichiarò: "Temo l’Italia, ma temo molto di più l’arbitro". Secondo gli austriaci infatti, nell’azione del gol decisivo della semifinale, Meazza aveva ostacolato irregolarmente il portiere Platzer, impedendogli di riprendere la palla che gli era sfuggita su un tiro di Schiavio.
La vittoria, al di là di ogni polemica, porto benefici a tutti. Nelle casse italiane entrò oltre un milione e mezzo di “vecchie lire” ma fu particolarmente apprezzata anche dai giocatori, che in epoca di compensi tutt’altro che alti si videro recapitare una busta ciascuno contenente 20mila Lire.
L’euforia italiana non dura però a lungo, riportata al confronto con la realtà dal progetto fascista, attuato nel 1935-1936, di conquistare l’Etiopia. La vittoria venne ufficialmente comunicata da Mussolini al popolo italiano la sera del 5 maggio 1936, dopo un messaggio del maresciallo Pietro Badoglio. Giusto in tempo per l’inizio di un altro conflitto di portata ben più ampia, la guerra civile spagnola, che può essere considerato il prologo della II Guerra Mondiale. Alla fine la conta dei morti è tragica; un milione di persone più i feriti e gli esiliati. La ricostruzione della Spagna di Franco si blocca di fronte solo al dilagare della seconda Guerra Mondiale. Ma questa è un’altra storia.
Il mondiale del 1938 si disputò invece dal 4 giugno al 19 giugno 1938 in Francia. Immediate scoppiarono le polemiche per la decisione. Secondo prassi si dovevano alternare un paese europeo e uno sudamericano, consuetudine disattesa in questa occasione. La conseguenza immediata fu il rifiuto dell’Argentina (rivale francese nella corsa al mondiale) all’invito di partecipazione. Non fu la sola, la spada di Damocle del Conflitto Mondiale incombeva e l’Austria, unita con l’Anschluss alla Germania nazista, non esisteva più, inglobata di fatto nella nazionale tedesca. Anche la Spagna non ce la fece, presa com’era dalla guerra civile. Come tutti ricorderanno vinse ancora l’Italia di Vittorio Pozzo, che in finale piegò l’Ungheria per 4-2.)
Questa la formazione messa in campo da Pozzo in finale: Olivieri, Foni, Rava, Serantoni, Andreolo, Locatelli, Biavati, Meazza, Piola, Ferrari, Colaussi. Merita di essere raccontato l’aneddoto legato alla semifinale giocata contro il favoritissimo Brasile. I carioca, più che convinti della vittoria, avevano già prenotato i biglietti aerei per Parigi e dopo la partita persa erano così piccati che non li cedettero agli italiani, costretti così a raggiungere Parigi in treno. In sostanza, gli azzurri festanti con la coppa verso il cielo fu l’ultimo ricordo positivo di una situazione europea e mondiale che verrà cancellata di lì a poco con lo scoppio della II Guerra Mondiale. A causa del conflitto la manifestazione fu interrotta per ben 12 anni; sarebbe tornata a deliziare il pubblico solo nel 1950.