No Imam, no Party. L’ultima frontiera del reality show (islamico)

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No Imam, no Party. L’ultima frontiera del reality show (islamico)

11 Luglio 2010

Se l’America ha il suo “American Idol” e la Gran Bretagna si è giocata la carta “XFactor” – trapiantato con minore fortuna anche in Italia –, la Malesia, uno dei paesi più progressisti in fatto di Islam ci prova con “Young Imam”, il reality che, dopo una serie di prove, incorona il miglior leader religioso. Dieci concorrenti di bell’aspetto, tutti fra i 18 e i 27 anni, si sfidano per dieci settimane per essere decretati miglior Imam, o Imam Muda. Ogni venerdì sera gli aspiranti Mullah cantano, recitano versetti del Corano, convincono i giovani ad allontanarsi dalla droga, fino a quando le luci si spengono, la musica scende e i concorrenti attendono nervosamente di sapere chi sarà spedito a casa.

Invece di un contratto discografico o di un premio da un milione di dollari, il miglior Imam vince una borsa di studio per l’Università al Medina in Arabia Saudita, un posto – in barba alla crisi – in un’importante moschea di Kuala Lumpur e un viaggio alla Mecca per il pellegrinaggio Haj. C’è un solo giudice che è chiamato a decidere in prima serata chi resta e chi deve andare. E non si tratta ovviamente di una pop star ormai attempata o di un super ospite del programma, piuttosto dell’Imam della più importante moschea della Malesia, tale Hasan Mahmood. Lo stesso che, due settimane fa, soffocando i singhiozzi, ha eliminato il 25enne Sharafuddin Suaut soltanto perché “inciampato” sulla teoria islamica.

“Young Imam” in sole tre settimane ha catalizzato l’attenzione dei giovani di Kuala Lumpur e su Facebook non si contano più i fan club e le pagine nate per tessere le lodi degli aspiranti Mullah. Per non parlare, come scriveva qualche giorno fa Celine Fernandez sul Wall Street Journal, del successo che questi piacenti giovanotti riscuotono fra le donne, sedotte dal bell’aspetto dei candidati che spesso indossano abiti tradizionali e il famoso fez sulla testa. Le più giovani sperano di sposare uno dei concorrenti, mentre le madri non vedono l’ora di maritare le loro passionali figliole, ha spiegato alla stampa un sorridente Izelan Basar, responsabile e finanziatore del programma. D’altronde gli aspiranti Imam sono tutti di buona famiglia: ci sono studenti, c’è chi lavora nelle imprese o nei servizi finanziari, o chi, come Taufek Noh, è ancora incerto sul proprio futuro e si diverte come speaker motivazionale.

La Malesia ha cercato per anni di dare un’interpretazione moderna dei principi islamici. Di recente, però, hanno cominciato a emergere diverse correnti conservatrici. Qualche mese fa, tre donne sono state arrestate e punite con la verga per aver tradito i propri mariti, mentre negli ultimi giorni polizia e funzionari governativi hanno avvertito Kuala Lumpur che gli agenti di al Qaida stanno cercando di reclutare giovani musulmani dalle Università del paese. Nonostante l’aumento di alcune pratiche fondamentaliste, la Malesia resta una delle società islamiche più aperte se si parla di rispetto e tolleranza della fede. Non a caso, all’inizio di giugno, Taufek Noh, in veste di concorrente, ha potuto infilare l’anello al dito della sua sposa Zilawati in piena diretta televisiva.

Secondo l’esperto di media Azman Ujang, infatti, il programma rappresenta un “punto di riferimento perché offre un approccio rinfrescante all’Islam”. Oggi Kuala Lumpur è diventata un esempio per il resto dei paesi islamici, con i “suoi aspiranti Mullah dotati di grande personalità, piuttosto che vecchie autorità attempate”, ha spiegato ancora l’esperto Ujang. Ma allora perché in Malesia un candidato Imam può recitare il Corano ed essere eliminato subito dopo, mentre se i nostri disegnatori pubblicano vignette con Maometto sono chiamati blasfemi?