L’Italia è stata fatta “all’italiana” ma né al Nord né al Sud conviene dividersi
05 Settembre 2010
di Daniela Coli
Per Ernesto Galli Della Loggia, il problema fondamentale dei 150 anni d’Italia unita rimane quello, diventato ancora più deflagrante dopo la fine della Prima Repubblica, di come tenere insieme Nord e Sud e, quindi, la necessità di un nuovo patto nazio1nale. La questione è all’ordine del giorno del dibattito politico, ha preso il posto di quello su destra e sinistra: i finiani sudisti hanno accusato il Pdl di essersi appiattito sulla Lega e di mettere in pericolo la nazione, per la quale trepida ora anche la sinistra, dopo averne chiesto la scomparsa fino alla fine dell’Urss. A prima vista, sembrerebbe possibile il nuovo Cnl anti-Berlusconi in difesa della nazione invocato da Bersani. In realtà, la sinistra è divisa: basta pensare al feeling di Chiamparino con la Lega e alle posizioni sul federalismo di Renzi a Firenze.
Nord e Sud non ci guadagnerebbero a dividersi: l’Italia senza Sud, come ha ricordato Angelo Panebianco, non sarebbe più uno dei quattro grandi Stati europei, mentre un Sud secessionista andrebbe incontro alla catastrofe. Occorre renderci conto che nonostante la tanta retorica sui 150 anni unitari, una vera e propria unificazione dello Stato nazionale territoriale in Italia non c’è mai stata, e quindi, casomai, l’Italia andrebbe rifondata. Come ebbe a dire Croce, dopo Caporetto, l’Italia unita era soprattutto scenografica: quella reale non era unita, responsabile, coesa, tesa allo stesso obiettivo.
A differenza degli Stati nazionali territoriali che si formano in Europa tra ‘400 e ‘800, in Italia non si assiste all’emergere di un Principe, di uno Stato che s’impone sugli altri, sconfigge l’anarchia feudale locale e li costringe a riconoscere la propria sovranità. Il Regno di Francia non nasce in pochi anni con qualche trattato diplomatico con l’Inghilterra, con una serie di plebisciti che sanciscono l’annessione al regno di importanti territori, né con una spedizione dei Mille in Bretagna, ma da conflitti come la guerra dei cent’anni per stabilire i confini. Per unificare territorialmente e politicamente Francia e Gran Bretagna occorsero alcuni secoli. L’Italia unita del 1861 è improvvisata, all’italiana, appunto, e i protagonisti non si pongono il problema, come i fondatori dei contemporanei Stati Uniti, di darle un ordinamento adatto alle sue peculiarità geografiche, politiche, economiche, diverso da quello centralista francese. I padri fondatori italiani tentano di cucire addosso alla penisola un vestito che non le sta per niente, perché – tanto per esemplificare un problema – la Francia è Parigi, mentre l’Italia ha tante città importanti, alcune perfino ex capitali.
Avendo dato una costituzione centralista a una società localista e corporativa da secoli, il Paese è sempre stato quasi ingovernabile. Non si è mai avuta la certezza di chi comandasse: il re o il Parlamento, il re o il Duce, i Presidente della Repubblica o il Presidente del Consiglio. In Italia non c’è un re o una regina come in Gran Bretagna che si limita a firmare le leggi, quando c’è un governo con maggioranza assoluta e non interviene continuamente nella vita politica come il presidente Napolitano. La sinistra si rivolge a Napolitano come se fosse il presidente di una repubblica presidenziale, ma grida al tradimento della Costituzione e chiama alla difesa contro il nuovo fascismo, se si accenna alla necessità di una repubblica presidenziale. Lo Speaker della Camera in Gran Bretagna e Stati Uniti non critica continuamente il governo, come un leader dell’opposizione. Se Nancy Pelosi non fosse d’accordo col presidente Obama, non esternerebbe ogni giorno come ha fatto Fini, si dimetterebbe e poi magari lo sfiderebbe legittimamente alle prossime elezioni politiche. In Gran Bretagna, paese della moderna democrazia, tories e whigs possono governare per vent’anni, senza che nessuno a Oxford e Cambridge gridi alla dittatura, né c’è quella continua guerriglia che ogni governo italiano deve affrontare quotidianamente: dai blitz dei magistrati ai terremotati abruzzesi portati a manifestare contro il governo a Roma.
Il caos politico quotidiano penalizza un paese che è una potenza economica importante e ne dà l’immagine di uno Stato confuso e inaffidabile. Il governo in Inghilterra si occupa di politica estera, di questioni di politica interna: non gli si chiede di risolvere il problema dei tre operai licenziati dalla Fiat a Melfi: non intervengono i magistrati, né la regina, perché la questione in Inghilterra riguarderebbe soltanto la Fiat, i tre operai e i sindacati.
L’Italia è un paese di corporazioni secolari: i tanti partiti della Prima Repubblica rappresentavano politicamente queste corporazioni, adesso sono presenti a destra e a sinistra realtà politiche che minacciano di erodere il bipolarismo. Nel Pd, Vendola, Cacciari, Chiamparino e Renzi rappresentano realtà locali diversissime, prima che politiche. La sinistra è un arcipelago – e anche il Pdl sta rischiando di diventarlo. La questione Nord/Sud è principalmente un problema di corporativismi locali tanto forti da mettere in crisi la politica dei due principali partiti italiani. Durante la Prima Repubblica, quando l’Italia era per certi versi protetta dal bipolarismo Usa-Urss, le regioni hanno assorbito e alimentato localismi ed interessi di ogni tipo. Nella nuova realtà del multilateralismo dell’era post-americana, se il Sud non è in grado di risolvere i suoi problemi, senza chiedere l’intervento dello Stato – dalla nettezza alla criminalità – è la nazione Italia a fallire.
I finiani, quasi tutti sudisti, sembrano avere perso qualsiasi rapporto con un filosofo ad essi un tempo caro come Giovanni Gentile, un uomo del Sud, capace di pensare in termini nazionali e di confrontarsi con i grandi Stati europei. Il Pdl era l’unico partito nazionale che sembrava capace di mediare nella questione Nord/Sud, essendo radicato in tutta la penisola: purtroppo a Giovanni Gentile i finiani sembrano preferire l’avventurismo di Gabriele D’Annunzio.