Fini infiamma gli animi ma solo quando fa l’anti-berlusconiano
31 Ottobre 2010
Scaldare i cuori è sempre stata una delle sue specialità. Appresa in anni di tirocinio al fianco di un impareggiabile maestro d’oratoria come Giorgio Almirante. La lezione, Gianfranco Fini, l’ha imparata bene. Stavolta, però, complice la mattinata piovosa ed un clima domenicale che più domenicale non si può, l’impresa è ardua anche per lui. Al cinema Adriano la gente c’è. Non è moltissima (nelle serate del fine settimana solo per fare il biglietto la fila arriva sino a fuori) ma basta ad affollare gli ottocento posti della sala scelta per l’intervista-evento con il direttore del Messaggero, Roberto Napoletano, l’atrio principale e i vari “pianettoroli” del maxicinema dove il dibattito è trasmesso anche dagli schermi al plasma usati di solito per indicare film, sale e posti disponibili. Il primo segnale non è buono. Gianfranco arriva in ritardo anche se di poco. Scortatissimo, ha lo sguardo torvo e l’aria stanca. Agli applausi, fiacchi a dire il vero, degli iscritti ai circoli romani e laziali di Generazione Italia risponde solo con una sorta di benedizione papale e fila via in sala. E’ più spettinato del solito e, visto da vicino, ha qualche taglietto in faccia. Deve essersi rasato in fretta. Forse anche lui è rimasto vittima dell’effetto ora solare. Proprio come è accaduto ad alcuni dei suoi sostenitori (in gran parte over 40, i giovani si contano a decine, non di più).
All’Adriano l’appuntamento è per le 10. Ma c’è chi è arrivato alle 9 e chi alle 11. Soliti problemi italici di spostamento di lancetta. Inconvenienti pratici a parte, tutti sono con e per Gianfranco. Gli applausi, dentro e fuori (innanzi ai maxischermi), fioccano. Soprattutto quando, è inevitabile, le sue parole colpiscono l’obiettivo numero uno. Anzi, l’unico: Silvio Berlusconi. Incalzato da direttore del Messaggero e invogliato dalla platea di fedelissimi, Fini non si fa pregare. Tanto per cominciare raccoglie l’assist di Emma Marcegaglia e affonda: "Il Paese è fermo e dilaniato da mille polemiche la Marcegaglia ha drammaticamente ragione. L’ esecutivo stenta ad indicare le linee di ripresa". Poi è la volta del caso-Ruby “Quando è scoppiato ero dal cancelliere tedesco, Angela Merkel, potete immaginarvi le reazioni. Sono amareggiato. E’ una vicenda che sta facendo il giro del mondo purtroppo e mette l’Italia in una condizione imbarazzante. Berlusconi chiarisca il suo intervento in Questura. Se c’è stato, e uso il condizionale, e se è vero che è stato detto che quella signorina era parente di un capo di Stato, dimostrerebbe che c’è stata una certa disinvoltura e malcostume nell’uso privato di incarico pubblico”.
Con il passare dei minuti, per la gioia dei fedelissimi, Gianfranco, proprio come la sua capigliatura, riprende la piega consueta. E’ un fiume in piena e sul filo del ragionamento arriva al nodo-giustizia. “Faremo interdizione sul pacchetto fiscale? No, perché non è stato presentato. Interdizione sul piano per il Mezzogiorno? No, perché non è stato presentato. Interdizione sulle leggi che servono unicamente per Berlusconi? Sì. La legge è uguale per tutti. Quando l’ho detto alla Camera è passata per una provocazione. Il Lodo Alfano? Da due anni e mezzo dico che occorre farlo con legge costituzionale. E invece un tema del genere s’affida a simpatici dottor Stranamore (leggi Niccolò Ghedini)”. Applausi a scena aperta. Difficile dire, a giudicare dalle reazioni, se i finiani della Capitale e del Lazio siano più seguaci di Gianfranco o “nemici” di Berlusconi. La sensazione è che prevalgano i secondi. Un termometro affidabile sono gli applausi. Che scendono, sino quasi ad azzerarsi, quando Fini promette al governo “supporto leale se affronterà problemi reali”. Il popolo finiano vuole rompere con Berlusconi. Anche se è preoccupato dal dopo. “Il vero centrodestra lo dobbiamo fare noi”, dice Fini, e tutti sono d’accordo. Ma restano le incognite.
Un elemento, all’Adriano, balza agli occhi. I finiani si sentono a destra. Nell’atrio c’è un banchetto che vende libri e magliette. La più gettonata è quella su cui, riportando le varie espressioni accigliate di Gianfranco, campeggia la scritta “che fai mi cacci?” Ma ce ne sono altre tipiche della destra storica. Ad esempio quella con il classico, “barcollo ma non mollo”. Per non parlare dei libri di Rachele Mussolini “La mia vita con Benito” e di spille e cappelli delle “Frecce Tricolore”, autentico “must” del popolo di destra. Per Gianfranco sarebbe difficile, se non impossibile, fare digerire al suo “popolo” collocazioni o alleanze, anche temporanee, di segno diverso. A Perugia, il prossimo fine settimana, quando sarà presentato il manifesto programmatico di Futuro e Libertà, qualcuno ha promesso di dirlo a chiare lettere.