Guerra futurista sul Berlusconi-bis e Fini rischia di scivolare sulla sfiducia
08 Dicembre 2010
Il colpo di scena butta all’aria il copione finiano, apre un nuovo fronte nel fortino futurista e sposta la bilancia della crisi dalla parte del Cav. Almeno per ora. Il colpo di scena arriva dopo l’offerta di Bocchino a Silvio Berlusconi: dimissioni e reincarico in 72 ore. Dura poco perché Silvano Moffa ‘colomba’ finiana dice esattamente il contrario: patto di legislatura prima del d-day in Parlamento, senza passare dalle dimissioni del premier. Il Pdl approva e il Cav. fa sapere a Bocchino che la linea non cambia: senza fiducia, c’è il voto.
Il problema adesso sta tutto nel campo futurista ed evidenzia una serie di contraddizioni che confermano come, dal voto di fiducia (a settembre) sui cinque punti programmatici dell’agenda di governo ad oggi, il presidente della Camera abbia indicato ai suoi un percorso a zig-zag, cambiando rotta (e idea) più volte. La proposta di Moffa di fatto ribalta la teoria finiana costruita in queste settimane sul passo indietro del Cav. come conditio sine qua non per il Berlusconi-bis.
E’ l’ultima versione perché solo qualche settimana fa – era l’11 novembre – nel faccia a faccia con Bossi, il capo di Fli chiuse alla possibilità di un nuovo governo Berlusconi, ipotesi che gli andò a proporre Bossi che in quei giorni si era speso per tentare una mediazione. No, Fini rispose che la situazione era molto più complessa perché, in realtà, allora la versione era: via il Cav. e nuovo governo con un nuovo premier. Solo di recente, quando evidentemente i finiani hanno visto la malaparata e capito che Berlusconi vuole andare avanti e alla conta in Parlamento, hanno cominciato a mandare segnali sul Berlusconi-bis, sempre con annesse dimissioni.
E’ chiaro che adesso la proposta di Moffa apre un nuovo fronte dentro il gruppo futurista ma anche nei rapporti Fli-Udc e nello scenario complessivo della crisi. Anzitutto viene smontato il teorema del passo indietro come elemento vincolante, irrinunciabile, e Moffa questo lo dice chiaro proponendo un “patto che porti l’Italia fuori dalla crisi”, perché occorre “mettere da parte l’intransigenza e a lavorare per il bene del Paese” se si vogliono evitare “elezioni anticipate dannose” per tutti. In questo coglie i segnali positivi che sono arrivati da Cicchitto sulla legge elettorale, una disponibilità che per il deputato futurista deve essere accolta come base del confronto.
Moffa spiega che la sua è una posizione “che interpreta il sentimento di molti, anche di quelli che non hanno il coraggio di manifestarlo”. Per questo è convinto che da qui a domenica ci sia ancora uno spazio di tempo sufficiente “per trovare punti di intesa e di equilibrio” su un’articolazione diversa del centrodestra dal momento che Fli è un soggetto politico a tutti gli effetti.
Non solo: la ‘colomba’ finiana manda messaggi ai suoi pure sul rapporto con Casini, sottolineando che i futuristi devono poter decidere quale strada seguire e non devono subire pressioni esterne (anche se nella nuova articolazione della compagine di governo dice che dovrebbe essere previsto un posto per i centristi). Non è un passaggio secondario e rivela quanto siano distanti le due linee di pensiero che da mesi si stanno scontrando all’interno di Fli. Casini ha accelerato i tempi della mozione di sfiducia costringendo Fini a seguirlo dopochè lo stesso presidente della Camera ne aveva ipotizzato la presentazione solo alla vigilia del d-day elettorale. Insomma, un modo per stoppare i tentennamenti del capo di Fli e per non rischiare di dover sostenere (andando così a rimorchio) il documento di Bersani e Di Pietro. E nel bilancio delle prove tecniche di alleanza, contano poi le prime scaramucce addirittura sulla leadership del terzo polo.
Ora, le divisioni dei finiani pongono almeno tre problemi, non di poco conto. Il primo: rischiano di portare voti al mulino del Cav. perché buona parte delle 85 firme in calce alla mozione di sfiducia Bocchino le ha raccolte sull’idea delle dimissioni e del Berlusconi-bis, ma oggi che Moffa ed altri non sono disposti a seguirlo, quelle firme potrebbero avere ben altro peso se trasformate in voti. Inoltre, l’obiettivo della mozione, cioè il pressing sul premier per indurlo a salire al Colle è già fallito.
Il secondo problema: Bocchino contro Moffa è una condizione che di fatto indebolisce Fini e lo costringe a trovare una soluzione, la migliore per non rischiare una debàcle sul piano politico come potrebbe rappresentare la fiducia incassata da Berlusconi a Montecitorio, ma anche l’ipotesi dell’astensione avendo lui stesso promosso coi centristi la mozione per costringerlo a lasciare la guida dell’esecutivo. Un rischio che il presidente della Camera non può correre dopo ché per mesi ha contestato il governo Berlusconi e lavorato per logorarlo (prima dentro il Pdl, poi con la scissione , i gruppi parlamentari autonomi e il ritiro dei ministri da Palazzo Chigi). Una soluzione a tutti i costi, forse anche a costo di rompere l’asse con Casini. Che anche ieri ha confermato la sua linea: prima le dimissioni del premier, poi la nuova fase.
Il terzo problema ha a che fare proprio con l’Udc che dal braccio di ferro tra i futuristi potrebbe essere penalizzata, nell’immediato dal momento che la mozione di sfiducia ha già perso la sua forza originaria e pure nella prospettiva futura del cosiddetto terzo polo, se mai nascerà.
A tutto ciò si aggiunge un altro dato: il pallottoliere della fiducia sì o no, cambia eccome. Gli elementi determinanti a questo punto sono la diversa posizione dei finiani moderati e il no alla sfiducia già ufficializzato da Calearo (ex Api,) Cesario (gruppo misto) e Scilipoti, quest’ultimo in procinto di lasciare il partito di Di Pietro, ai quali potrebbero aggiungersi anche alcuni malpancisti dell’area moderata e delle minoranze linguistiche. E se il rapporto adesso sarebbe attestato sul 311 a 315, è facile comprendere come la bilancia dei voti potrebbe pendere dalla parte della maggioranza.
L’ultimo paradosso della telenovela finiana lo svela proprio Berlusconi che ieri ha rilanciato la disponibilità a discutere di programma e di un nuovo patto di legislatura con Fini, ma senza lasciare Palazzo Chigi. Se da qui a domenica a prevalere saranno le colombe sui falchi futuristi, si tornerà esattamente alla proposta che il premier ufficializzò al presidente della Camera lo scorso 4 novembre durante la direzione nazionale del Pdl, che gli stessi finiani allora bollarono come irricevibile (innestando su questo l’editto di Perugia) e oggi potrebbero essere costretti ad accettare. Per non perdere la faccia, il posto e gli elettori.