Ben Alì cede alla rivolta e promette riforme economiche e più libertà
14 Gennaio 2011
«Vi ho compreso e voglio soddisfare le vostre rivendicazioni». Il presidente tunisino Ben Alì è comparso ieri a tarda sera in tv per ordinare di non sparare più sui manifestanti (mentre la polizia uccideva due dimostranti a Tunisi proprio durante il discorso), annunciando il calo del prezzo del pane, del latte, dello zucchero, promettendo libertà di stampa e di togliere le restrizioni ad internet. Non solo. Ben Alì ha infatti dichiarato di non volersi ricandidare alle prossime elezioni nel 2014 e per essere più convincente ha inviato qualche centinaio di supporter a scandire il suo nome in Avenue Bourghiba sotto coprifuoco ma, soprattutto, sotto i fari delle tv.
Allo stesso tempo, però, gli scontri tra polizia e manifestanti hanno continuato ad infiammare tutto il paese. Secondo la Federazione per i diritti umani (Fidh), si conterebbero tra i sessanta e gli ottanta morti dall’inizio della rivolta (stando alle fonti ufficiali del governo, invece, i morti sarebbero ventitre). A Tunisi ci sono stati comunque altri otto morti tra mercoledì e la giornata di ieri, più due ad Hammamet, due a Biserta e sei a Gabés, dove per la prima volta sarebbe stato l’esercito a sparare sulla folla. Mentre si iniziano a contare le prime due vittime europee: un docente franco-tunisino e una cittadina con doppia nazionalità svizzero-algerina.
Navi Pillay, Alto Commissario Onu per i Diritti Umani, ha chiesto al governo tunisino di indagare sulle condizioni dei manifestanti arrestati dalla polizia, sulle uccisioni di civili da parte delle forze dell’ordine, e soprattutto, di chiarire se alcuni colpi mortali sono stati esplosi dai cecchini appositamente posizionati a guardia dei manifestanti, come riporta l’emittente araba Al Jazeera. Intanto, il Ministro degli Interni, Rafik Belhaj Kacem, è stato sostituito così come il capo dell’esercito, Rachid Ammar. Mentre le manifestazioni partite dalle periferie delle città sono arrivate fino a Tunisi, dove oggi si attende uno sciopero generale in coincidenza con la preghiera islamica del venerdì che mobiliterà tutta la capitale. Nelle altre città continuano i saccheggi di alcuni centri commerciali e diversi edifici pubblici sono stati dati alle fiamme. Nonostante il Parlamento si sia riunito per discutere della crisi, l’anarchia regna sulla nazione di Ben Alì. Un perfetto habitat anche per al-Qaeda. Il sito web Site, che dagli USA monitora la galassia islamista su internet, ha infatti intercettato un video di 13 minuti dove Abu Musab Abdul Wadud, leader di al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi), invita i tunisini ad avvicinarsi al gruppo da lui stesso guidato “per ricevere formazione all’uso delle armi e fare esperienza militare”.
Intanto, il governo centrale ha convocato una seduta straordinaria su richiesta del presidente tunisino per adottare provvedimenti in campo economico e sociale contro il carovita e la disoccupazione. Ben Alì mercoledì scorso aveva deciso di creare una commissione d’inchiesta su alcuni casi di corruzione che riguardano diversi membri del Governo e oltre a decidere di sostituire alcuni membri dell’Esecutivo ha modificato i toni dei suoi interventi pubblici. Se fino a qualche giorno fa etichettava i manifestanti come “terroristi”, Ben Alì ha cominciato ad adottare un linguaggio più conciliante per “salvaguardare la libertà d’informazione e incoraggiare il dialogo fra le parti: dialogo, cooperazione e stabilità sono l’interesse supremo della Tunisia".
Ayesha Sabavala, analista tunisino dell’Economist Intelligence Unit, sempre ad Al Jazeera, ha dichiarato: “Le misure del Governo sono state significative. Ora il mondo politico sta cercando di dire ai tunisini che sa di aver fatto degli errori e di aver capito che c’è un malcontento diffuso. Il Presidente, nel discorso del 10 gennaio promise la creazione di 300.000 posti di lavoro entro i prossimi due anni. Un obiettivo troppo ambizioso, a mio parere, visto il basso tasso di crescita economica della Tunisia". Mentre per l’esperto di questioni tunisine, Radwan Masmoudi, presidente e fondatore del Center of the Study of Islam & Democracy (CSID) a Washington: "La gente vede la corruzione come il problema principale in Tunisia perché il rapporto tra sviluppo economico e istituzioni politiche è fondamentale che resti nitido; il popolo chiede grandi riforme e una vera democrazia… Non solo che si cambi qualche ministro ”. Anche Catherine Ashton, l’Alto Rappresentante per la Politica Estera dell’UE, ha riferito di essere molto allarmata dai feroci scontri in Tunisia e che perciò intende valutare "diverse opzioni" nell’ambito dei negoziati in corso per un approfondimento della partnership con il paese nordafricano: “L’obiettivo principale del dialogo è quello di sostenere le iniziative per le riforme democratiche", ha affermato.
L’Europa fa bene a preoccuparsi, perché nonostante l’immigrazione clandestina dal sud del Mediterraneo verso sia fortemente osteggiata (in Grecia è stata pianificata da poco la costruzione di una barriera divisoria ai confini con la Turchia), le rivolte dai paesi del Maghreb potrebbero presto arrivare nel Vecchio Continente. È di mercoledì scorso la notizia che a Marsiglia quasi mille persone hanno sfilato per le strade della città francese al grido di: «Ben Alì assassin!».