Israele: “Accordo se ci riconoscono”. Palestinesi: “No”
14 Ottobre 2010
di redazione
Lunedì il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si è detto disponibile a congelare ulteriormente la costruzione di insediamenti in Cisgiordania in cambio del riconoscimento di Israele come Stato ebraico da parte dei palestinesi. Ma dall’ufficio del leader palestinese è arrivata a stretto giro una riposta negativa.
L’impasse fa aumentare i dubbi sulla possibilità di riprendere i negoziati, nei quali gli Usa giocano il ruolo di intermediari, in fase di stallo dal mese scorso.
"Se la leadership palestinese dirà inequivocabilmente alla sua gente che riconosce Israele come patria del popolo ebraico, sono pronto a convocare il mio governo e chiedere un’ulteriore sospensione", ha detto Netanyahu in Parlamento. "Questa non è una condizione ma un passo di creazione della fiducia, che potrebbe creare fiducia ad ampio raggio tra il popolo israeliano, che hanno perso fiducia nella volontà palestinese per la pace negli ultimi 10 anni", ha detto.
Poco dopo Nabil Abu Rdainah, portavoce del presidente palestinese Mahmoud Abbas, ha detto che il ritorno ai colloqui di pace sostenuti dagli Stati Uniti richiede il congelamento degli insediamenti. "La questione della ebraicità dello stato non ha nulla a che vedere con questo", ha detto il portavoce a Reuters.
Netanyahu ha fatto la sua mossa appena tre giorni dopo che i palestinesi e i poteri arabi avevano dato agli Stati Uniti un mese di tempo per convincere Israele ad annunciare una nuova moratoria. La leadership palestinese sostiene che il riconoscimento di Israele come stato ebraico avrebbe compromesso i diritti dei cittadini arabi di Israele, che costituiscono il 20% della popolazione.