Il Pd non trova un leader e una linea neanche ora che il Cav. è alla sbarra
17 Febbraio 2011
E’ un grande valzer confuso e incerto quello che gli attori protagonisti del Partito Democratico ballano, scivolando sul pavimento delle difficoltà della maggioranza. Un tempo di grandi manovre in cui tutti i generali, i consiglieri e gli strateghi tracciano strategie in evidente conflitto l’una con l’altra. Ci sono Pierluigi Bersani e Massimo D’Alema impegnati a vestire i panni delle sirene tentatrici nei confronti della Lega, impresa non facilissima visto che soltanto una settimana fa avevano votato contro il federalismo in commissione.
C’è Walter Veltroni impegnato a lusingare il Terzo Polo nella convinzione che l’alleanza-arlecchino, da Di Pietro a Fli, vincerebbe le elezioni. C’è Nichi Vendola che dopo aver accusato per mesi di miopia i dirigenti del Pd per il corteggiamento a Gianfranco Fini, bollato come grave errore strategico, ora cambia idea e accetta quella sorta di Comitato di Liberazione Nazionale fatto alleanza che è la coalizione degli anti-berlusconiani. C’è la proposta di un governo Maroni come orizzonte di speranza. C’è l’Aventino parlamentare, suggerito dal direttore del Fatto Antonio Padellaro, come nuova frontiera della protesta estrema. Ci sono le bacchettate di Matteo Renzi, sindaco di Firenze, che intervistato dalla Stampa sottolinea la sua condanna della linea del segretario. “Rinuncio a capire la logica del suo percorso – osserva Renzi – per mesi abbiamo inseguito Fini. Ora che ci ha detto no, continuiamo a corteggiarlo inseguendo pure Bossi”.
La nebbia, insomma, è fitta. E ci si muove a tentoni, alla ricerca di una bussola o di una prospettiva politica. Spallate al governo e alleanze a parte, c’è un’altra questione che si sta aprendo fragorosamente in queste ore: quella del candidato premier incaricato di guidare la grosse koalition. “Nascerebbe con due collanti fondamentali: chiudere la pagina del berlusconismo, aprire una fase nuova” dice D’Alema. “Siamo in una situazione simile a quella del dopoguerra, quando l’Italia scelse tra monarchia e repubblica" azzarda. "Io propongo un patto costituente e il leader sarà deciso da tutti quelli che vorranno farne parte. Non lo posso, ovviamente, indicare io". All’intervistatore che gli chiede se possa essere il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, il candidato giusto risponde: "Draghi è candidato a presiedere la Banca centrale europea, e sarebbe una gran cosa per l’Italia. È un uomo straordinario, capacissimo. Il suo profilo è quello giusto: non viene dalla politica, sarebbe il punto di sintesi di uno schieramento ampio. Ma non è il mio candidato. Il nome ce l’ho, ma non lo faccio, altrimenti lo brucio".
Il pensiero corre inevitabilmente verso Rosy Bindi. Ma D’Alema si trincera nel silenzio. Così a evocare il nome della pasionaria della sinistra cattolica ci pensa Nichi Vendola. "L’ideale sarebbe Rosy Bindi, una donna che rappresenta la reazione a uno dei punti più dolenti del regresso culturale, ricopre un ruolo istituzionale-chiave come quello di vicepresidente della Camera, ha il profilo giusto per guidare una rapida transizione verso la normalità". Chi invece non vede proprio all’orizzonte possibilità di vittoria con questo candidato, è Giovanna Melandri che come possibile leader della "Santa Alleanza" vede piuttosto Mario Monti, un uomo che “potrebbe essere una candidatura forte e autorevole, che darebbe un profilo a una coalizione ampia”. E la Bindi? “La stimo molto ma può essere la donna che federa un’alleanza da Vendola al Terzo Polo? Non credo”.
Nel catalogo delle incertezze, delle voci dissonanti e degli inviti a uscire dal cono d’ombra dell’inazione c’è da registrare anche l’invito del quotidiano Europa: “Vogliamo pensare che sia solo pigrizia», ma «qualunque sia il motivo della timidezza sarà il caso che Bersani dia una strigliata alla ditta. L’unico modo di perdere le elezioni, di sbagliare il calcio di rigore, è farsi venire la tremarella" scrive il direttore Stefano Menichini che, con un editoriale di prima pagina, invoca maggiore decisione da parte del Pd nel chiedere le elezioni. Una prospettiva vagheggiata a parole, ma nei fatti tenuta rigorosamente in un cassetto serrato a doppia mandata. Il motivo? A spiegarlo il Corriere della Sera che oggi racconta dei dirigenti del Pd impegnati a compulsare i sondaggi e l’ultimo report mensile dell’Ipsos, quello che fornisce ai dirigenti di Via del Nazareno il polso della situazione e degli umori dell’elettorato. Una “verifica” dall’esito sconfortante praticamente per tutti i leader, attuali e futuribili del centrosinistra. Chiamparino cala di 3 punti, Vendola di 2, Bersani di 1, Veltroni di 2. L’unico stabile è Nicola Zingaretti. Male anche Rosy Bindi, la più quotata del momento, che raccoglie il 60 per cento di giudizi negativi. Come dire che la tela della leadership è ancora lunga da filare. E la carta delle elezioni è un azzardo che nessuno si sente ancora di tentare.