Contrari all’intervento in Libia: le “ragioni” del Gheddafismo

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Contrari all’intervento in Libia: le “ragioni” del Gheddafismo

16 Aprile 2011

La guerra civile in Libia ha provocato una strana inversione di posizioni in Italia. I pacifisti che esponevano la bandiera arcobaleno durante la guerra in Iraq, ora tifano per l’intervento. I “guerrafondai” che appoggiavano l’ingerenza di Bush negli affari interni di Saddam Hussein, ora difendono la sovranità nazionale di Gheddafi. Eppure, a ben vedere, non ci sono grandissime differenze fra la guerra contro Saddam del 2003 e quella del 2011 contro Gheddafi. Il profilo dei due tiranni mediorientali è molto simile. Entrambi appartengono alla stessa generazione di militari autoritari che presero il potere dopo la vittoria israeliana nella Guerra dei Sei Giorni, traendo ispirazione ideologica dalla dittatura di Nasser in Egitto. Entrambi lo consolidarono durante la Guerra Fredda, facendosi appoggiare dall’Urss pur non aderendo al blocco orientale. Saddam Hussein uccise i suoi cittadini a centinaia di migliaia, in più riprese, dagli anni ‘70 in poi, fino alla fine degli anni ‘90. Gheddafi li sta uccidendo tuttora.

Saddam Hussein si presentava al mondo come una diga laica (e protettrice dei cristiani) contro la marea dell’integralismo islamico. Anche Gheddafi ritiene di combattere una guerra contro Al Qaeda e di essere l’unico argine agli integralisti. Al di là della retorica, Saddam Hussein aveva un rapporto ambiguo, a volte cobelligerante (quando operavano contro l’Occidente), a volte ostile (quando agivano contro il suo potere), nei confronti dei gruppi jihadisti ospitati in Iraq. Gheddafi ha minacciato a più riprese di liberare i terroristi islamici detenuti nelle sue carceri e scatenarli contro l’Occidente. Sempre che non abbia già iniziato a farlo.

L’Iraq e la Libia avevano entrambe grandi conti in sospeso con l’Occidente. La guerra con Saddam Hussein era scoppiata nel 1990 con la sua invasione del Kuwait. Ed era rimasta solo in sospeso dal 1991, quando le truppe della coalizione si fermarono dopo la liberazione del piccolo emirato del Golfo, ma non entrarono in Iraq, su richiesta dell’Arabia Saudita. I vincitori del 1991 imposero delle condizioni precise al dittatore, fra cui il disarmo e la rinuncia alle armi di distruzione di massa, che Saddam non rispettò o non mostrò di rispettare, espellendo gli ispettori dell’Onu e negando loro l’accesso fino al 2003. La guerra con Gheddafi era latente sin da prima: almeno dal 1986, quando i terroristi libici uccisero i soldati americani in licenza a Berlino nella discoteca La Belle. Poi, nel 1988, quando i libici firmarono una vera dichiarazione di guerra a Gran Bretagna e Usa con l’abbattimento del volo Pan Am 103 sul cielo di Lockerbie. Con Gheddafi, le potenze occidentali hanno finora vissuto uno stato di lunghissima tregua (proprio come con l’Iraq di Saddam). E a volte fu molto proficua: l’accordo tacito del 2003 per fermare la proliferazione di armi di distruzione di massa libiche e numerosi patti bilaterali, fra cui il Trattato di Amicizia e Cooperazione con l’Italia del 2008, ma non fu mai una vera e propria pace.

Gli esperti di Relazioni Internazionali, quasi all’unanimità, non consideravano Saddam Hussein una minaccia all’ordine internazionale né alla sicurezza delle democrazie occidentali. Oggi non considerano una minaccia nemmeno Gheddafi. In un caso come nell’altro, l’intervento è motivato da argomenti umanitari (fermare il massacro) e preventivi (evitare che un dittatore pericoloso, lo diventi ancor di più in futuro). Per i marxisti, più o meno consapevoli, la vera causa della guerra (sia in Iraq che in Libia) è il petrolio: l’argomento che nel 2003 veniva usato dalla sinistra, contro la “rapacità” delle multinazionali americane, oggi viene usato dalla destra contro quella delle compagnie petrolifere francesi e britanniche. Hanno sbagliato nel 2003 e sbagliano tuttora: se c’è un attore internazionale che vuol mantenere lo status quo, questa è la multinazionale petrolifera, qualunque multinazionale petrolifera, il cui unico interesse è la salvaguardia dei propri investimenti (impianti, personale, accordi e contratti) all’estero. E non c’è niente di peggio che una guerra per mandare all’aria tutto e ricostruire da capo un intero lavoro di decenni.

In un caso come nell’altro si è diffusa la paura per il futuro del Paese dopo la caduta del dittatore: nel 2003 i pessimisti si aspettavano la spaccatura dell’Iraq in tre Stati e una guerra civile permanente; oggi si teme che la Libia possa dividersi in due Stati in continua lotta tra loro. I catastrofisti del 2003 erano convinti che in Iraq si sarebbe instaurato un regime integralista islamico a Baghdad, sotto l’egida di Al Qaeda o dell’Iran. Oggi i catastrofisti pensano la stessa cosa per la Libia: un regime dei Fratelli Musulmani a Bengasi. Al contrario, gli ottimisti, quelli di oggi così come quelli del 2003, per lo meno non escludono che dopo la caduta del dittatore si possa arrivare a una democrazia, sebbene imperfetta.

Se la situazione e le previsioni per il futuro sono sostanzialmente identiche, perché allora, il fronte anti-Saddam è oggi pro-Gheddafi e viceversa? Solo in parte gioca l’esperienza. La prolungata crisi irachena dopo la caduta del regime di Baghdad, caratterizzata da terrorismo e scontri settari che continuano ancora oggi, scoraggia altre azioni contro altri dittatori mediorientali. Solo in parte gioca lo scetticismo sulle operazioni militari avviate il 20 marzo 2011 (esattamente 8 anni dopo l’Iraq), iniziate apparentemente senza un piano preciso, senza obiettivi chiari e addirittura senza un accordo su chi dovesse tenere il comando. Nessuno di questi due (legittimi) argomenti condiziona più di quel tanto l’opinione pubblica italiana. Sono pochi coloro che sanno cosa avvenga in Iraq, per lo meno dopo il disimpegno italiano nel 2006. Ancor meno quelli che si appassionano di questioni militari.

Le cause di questo rovesciamento completo degli schieramenti del 2003 vanno ricercate altrove: nell’Onu e in Obama. La guerra del 2003 fu decisa da Stati Uniti e Gran Bretagna, assieme a una coalizione di “volenterosi”, nonostante l’Onu. L’intervento in Libia è invece supportato da una risoluzione delle Nazioni Unite, la 1973, che autorizza l’uso della forza (“di ogni mezzo necessario”) per proteggere i civili (dal loro dittatore). Nel 2003 alla Casa Bianca c’era George W. Bush, che aveva già sfidato l’Onu in più occasioni, in difesa dell’interesse nazionale degli Usa. Oggi alla Casa Bianca c’è Obama che promette di agire sempre e comunque di concerto con le Nazioni Unite. E questo cambia tutto.

Perché, con un Obama amico dell’Onu, i progressisti (che in Bush identificavano il più grande elemento di disturbo) vedono un’opportunità più unica che rara di costruzione di uno Stato mondiale, che implementi la giustizia universale. Al contrario, e per gli stessi motivi, i conservatori (che in Bush identificavano un coraggioso uomo fuori dal coro) vedono in Obama un pericolo di tirannia mondiale targata Onu.

Direttamente o indirettamente, i pro-Gheddafi italiani sono in realtà degli anti-Obama. C’è chi teme, soprattutto dopo le rivelazioni di Wikileaks, che l’attuale inquilino della Casa Bianca sia ostile a Silvio Berlusconi e vede nella guerra di Libia uno dei metodi per minare gli interessi del governo italiano. C’è chi, fra i cattolici soprattutto, scorge nella politica di Obama un tentativo malcelato di appoggiare gli integralisti islamici in tutto il mondo. A spese dell’Europa, che ne verrebbe invasa. E c’è anche chi, nella politica di ingerenza di Obama in Libia, identifica una nuova “dottrina Brezhnev”: cancellare il principio di sovranità nazionale per spianare la strada al nascente “Stato mondiale”. Lo stesso sospetto era nutrito, negli stessi ambienti, nei confronti di Bill Clinton (un altro democratico e amico dell’Onu), all’epoca del suo intervento nel Kosovo.

Tutti questi timori sono puramente ideologici. Primo: non è Obama il promotore di questo conflitto. Non è promotore di alcuna delle rivoluzioni mediorientali. Cosa ha detto o ha fatto quando si sollevava la Tunisia? Nulla. Cosa ha fatto quando si sollevava l’Egitto? Ha cambiato posizione almeno quattro volte, prima di optare per lo sganciamento da Mubarak (e in Egitto sì che è forte il rischio di una presa del potere dei Fratelli Musulmani). Cosa ha fatto quando si è sollevata la Libia? Ha taciuto per più di una settimana, poi si è accodato alle condanne al regime di tutti i governi europei. L’intervento militare è stato sponsorizzato soprattutto dalla Francia, potenza egemone nel Mediterraneo. E si è reso necessario perché, dopo la sfida lanciata da Gheddafi e le sue continue minacce, Parigi (che aveva già riconosciuto il governo degli insorti a Bengasi) avrebbe perso ogni credibilità rimanendo passiva ad assistere al massacro dei ribelli libici. Obama, nel corso di tutta la crisi, ha mantenuto un profilo bassissimo: nemmeno un discorso alla Nazione (e neppure al Congresso) per una settimana intera dopo l’inizio delle operazioni militari. Gli Usa hanno passato il comando alla Nato dopo appena una settimana di guerra.

Secondo: l’Onu ha dimostrato ancora una volta di non essere affatto in grado di diventare una sorta di “Stato mondiale”, né oggi né in futuro. Diviso al suo interno da una Francia e una Gran Bretagna interventiste, contro una Germania, una Russia e una Cina neutraliste, con gli Usa sempre in disparte, anche in questa crisi l’Onu non ha espresso una sua opinione. La Risoluzione 1973 è l’evidente prodotto di un compromesso, in cui mezzi e fini dell’intervento non sono espressi in modo chiaro.

I sostenitori e i nemici di uno “Stato mondiale guidato da Obama”, dunque, si mettano il cuore in pace: quella che, per gli uni, è un sogno e, per gli altri, un mostro, in realtà non esiste. Quella che si sta combattendo in Libia è un’“ordinaria” guerra contro una tirannia mediorientale, violenta e anti-occidentale, anche se non immediatamente pericolosa per noi, esattamente come era l’Iraq di Saddam Hussein. I pacifisti tornino pure a sventolare le loro bandiere arcobaleno. I guerrafondai espongano pure quelle a stelle e strisce o i tricolori francesi o la Union Jack britannica. Il mondo non è cambiato dopo l’intervento in Libia. I buoni e i cattivi sono sempre gli stessi.