Immigrati sotto casa? Pane, affettati e un prosecco sperando che ripartano
17 Aprile 2011
di Zia Giugi
Cara Zia Giugi, trovo molto falso questo gran parlare di accoglienza. Nessuno osa dire apertamente che non vuole che sia disturbata la sua quiete! Concetta
Cara Concetta, può capitare che una domenica mattina, mentre stai tastando con il piedino la temperatura dell’acqua della vasca, tu intraveda dalla finestra alcune persone che si guardano intorno, davanti al tuo cancello. Può capitare che, pregustando l’unico momento della settimana dedicato esclusivamente al tuo benessere, tu guardi la schiuma profumata e decida che chiunque essi siano, non hanno niente a che fare con te: non stai aspettando nessuno. Capita però che, un attimo prima di immergerti, i capelli già raccolti nell’asciugamano, più per curiosità che altro, ti volti ancora una volta a guardare cosa succede laggiù in strada. E veda che quella gente si guarda intorno, sembra cercare qualcosa, ma soprattutto paiono molto stanchi. Allora osservi meglio. Sono una decina, soprattutto uomini piuttosto giovani, ma anche due donne e qualche bambino. Non sono vestiti male, hanno jeans, felpe, scarpe da ginnastica moderne. Ma con loro nulla, non una valigia, non una bottiglia d’acqua. Rifletti che per giungere a casa tua non ci sono mezzi pubblici, sono sette chilometri a piedi dalla città . Come avranno potuto camminare per tutta quella strada. Ora si sono seduti per terra all’ombra delle tue ortensie, che sono già fiorite e proiettano la loro ombra profumata sul viale. Non riesci ad ignorarli. Ripensi velocemente al programma della giornata. La lunga toeletta della mattina, un bel peeling per liberare la pelle dalle grigie cellule morte dell’inverno, un velo di trucco, un abitino vivace per celebrare la primavera esplosa in questi giorni e poi via! Fuori dal garage la vespa, una spolverata alla sella e si parte per un bel giro tra le colline, a godersi l’aria tiepida e i prati colorati di primule e violette. Per pranzo c’è quella bella terrazza di Renza, sotto al castello, due antipastini al sole, leggendo i giornali della domenica. Per il pomeriggio un pisolino, un camminata con i cani, un aperitivo in piazza, che è già piena di turisti. Come si dice, ti aspetta una bella giornata. Proprio ora devono arrivare questi qui, a fare cosa non si sa. Leviamoci il pensiero, andiamo a vedere se hanno bisogno di qualcosa. Accappatoio, pantofole e scendi. Accenni un sorriso, ma loro non lo ricambiano. Non si alzano. Una ragazza solleva lo sguardo e ti chiede da bere, ha in braccio un bimbo di un anno e gli fa ombra con la mano. Allora chiedi dove vanno, se hanno bisogno di qualcosa.”France”, dicono seccamente. E poi “Mangiare, acqua”. I gesti precedono i tuoi pensieri. Apri il cancelletto, li fai entrare in giardino e sedere sotto il pergolato. Veloce metti su un vassoio del pane, due buste di affettati che tieni in frigo, la scatola dei formaggi, il cesto della frutta. Hai anche una bottiglia di prosecco al fresco, ma si, apriamola. Il gruppo mangia in silenzio, il brindisi che pensavi non si fa. Vino o acqua o coca per loro è lo stesso. Due ragazzi chiedono di andare in bagno, la cosa non ti entusiasma (sei in casa da sola), tu chiudi bene l’accappatoio e li scorti fino al locale lavanderia. Li vedi sogghignare. Poi suona il telefonino, al piano di sopra. Dopo aver raccontato alla tua amica quell’avventura, scendi in giardino e se ne sono andati. I tovaglioli sporchi sono buttati nell’erba. Il cancelletto. E’ rimasto aperto a metà. Prima di pensare a dove andranno, a piedi sotto il sole, gli urli dietro di andare a quel paese. Per quel mancato grazie, per quel sorriso negato. Poi ritorni alla tua bella giornata, felice che abbiano portato via i loro occhi tristi.