Luigi Bisignani è stato il lobbista perfetto nel Paese sbagliato

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Luigi Bisignani è stato il lobbista perfetto nel Paese sbagliato

16 Giugno 2011

di Ronin

Tempo fa "Gigi" Bisignani, il superfaccendiere sopravvissuto con qualche livido a Mani Pulite (una condanna a due anni e mezzo per la maxitangente Enimont, altri ci hanno rimesso la vita), era finito nella rete di Why Not: Luigi De Magistris era piombato nei suoi uffici con un mandato di persquisizione, per uscirne con qualche documento privo di valore e un normale Blackberry sequestrato. Salito De Magistris a Palazzo San Giacomo, ci riprovra Henry John Woodcook, che non è un top gun hollywoodiano ma un altro magistrato. Bisignani avrebbe dato vita a un network piduista a cavallo fra politica, affari e finanza, tanto grande da meritarsi 19 capi di imputazione. Peccato che il giudice per le indagini preliminari, lette le carte, abbia demolito l’impianto accusatorio, riducendolo a violazione del segreto istruttorio e favoreggiamento. Poca roba per quello che doveva essere il nuovo Gelli.

Ci vuole ben altro per inguaiare Gigi la trottola, un fior fiore di lobbista capace di evadere dall’andreottismo verso il berlusconismo senza grossi traumi: il bersaglio perfetto per i fustigatori dell’Italia segreta, tanto che il Fatto Quotidiano sembra quasi affascinato dalle imprese di questo ex giornalista Ansa, radiato dall’albo, stipendiato da Ferruzzi e vicino ai grandi (ex) boiardi di stato (Eni e Finmeccanica). Gli ingredienti ci sono tutti: la massoneria, le banche vaticane, le lotte di potere fra la "Ditta" berlusconiana e la fronda tremontiana (il clou del racconto di Gianni Barbacetto è affidato a una fonte davvero affidabilissima: Tavaroli, l’ex capo della sicurezza di Telecom). Bisignani, che a vederlo sembra un tipo abbastanza sornione, tra le altre cose si è anche preso gioco di complotti e cospiratori dandosi al fantathriller (due romanzi all’attivo).

Potremmo commentare le intercettazioni tra Bisignani e il pidiellino Papa, quello che si sono detti su fantomatici piani per riformare la giustizia, o baloccare sulle presunte soffiate fatte dal faccendiere al dioscuro della politica italiana, Gianni Letta. Ma siccome non ci piace ascoltare di nascosto e preferiamo ragionare, limitiamoci a un paio di considerazioni. Ancora una volta, vista la gravità delle accuse, il battage della stampa e l’indignazione dei manettari, com’è che poi non succede niente? I potenti sono sempre troppo furbi o magari qualche volta i magistrati sbagliano?

Forzando un po’ il parallelismo, non trovate che il reato di violazione del segreto istruttorio sia il segreto di pulcinella? Come pensate che facciano i giornalisti impegnati quotidianamene nel muckraking ad ottenere i preziosi brandelli delle intercettazioni fatte della magistratura, che si riversano poi a cascata sulle prime pagine dei giornali, in tv e sul web? Non è violazione del segreto istruttorio anche quella? Sull’altra accusa, favoreggiamento, aspettiamo fiduciosi le prossime novità, magari non dal Corriere della Sera on line di ieri, che nella fretta di dare la notizia ha persino sbagliato il nome dell’indagato illustre. Meglio rivolgersi a Dagospia, di cui si dice Bisignani sia fervido sostenitore.

Fossimo negli States, "Gigi" sarebbe stato un perfetto Scott Talbott, chief lobbyst del potentissimo Financial Services Roundtable, che perora la causa di Wall Street alla Casa Bianca. Nel film che ha seppellito la dignità dei supermanager e delle agenzie di rating, mostrando la metastasi della crisi economica – Inside Job – quel gran tessitore di trame di Talbot non si sarebbe mai sognato di declinare un’intervista con i saviani di turno, anzi. Li accolti nel suo ufficio e con grande cortesia ed altrettanta faccia tosta ha respinto tutte le accuse, davanti alle telecamere, mostrando quando siano ingenui e manichei quelli che veramente credono che i rapporti fra politica, potere economico e giudiziario, siano un kindergarten privo di colpi bassi, giochi sporchi e sprezzo delle regole.

In America, saggiamente, si è deciso di rendere pubblica e trasparente l’azione delle lobby sul Congresso o sulla presidenza (Obama nei giorni scorsi ha dovuto difendersi da chi ne denunciava le complicità con Google), in modo tale che i cittadini possano osservare, e giudicare. In Italia invece i lobbisti sono gemelli siamesi dei piduisti. Nel vuoto normativo, questi personaggi si aggirano in cerca di affari e contatti preziosi, nella palude di Palazzo, e abituati come sono all’ombra, quando qualche magistrato prova a pizzicarli, si danno preventivamente irreperibili. Forse non sono degli eroi, ma meriterebbero anche loro delle garanzie.