Dopo la Libia l’unica cosa certa è che un’alleanza a sinistra non esiste
05 Maggio 2011
Partirono per suonare e vennero suonati. L’opposizione decide di scendere nel ring della Camera, scommettendo sulla spaccatura tra Pdl e Lega sulla missione in Libia e annusando la possibilità di assestare un colpo da ko alla maggioranza. Sembrano le prove tecniche della tanto agognata spallata, il tentativo di mettere il dito nella politica estera dell’esecutivo, da sempre motivo di vanto e punto di coesione per Silvio Berlusconi, soprattutto se messo in contrapposizione ai disastri del governo Prodi.
Alla prova dei fatti la sortita si rivela un fallimento, un boomerang doloroso che dimostra come l’opposizione sulle questioni davvero qualificanti per una coalizione che aspira a governare finisca sempre e comunque per marciare divisa. Il voto di Montecitorio diventa così la cartina di tornasole dello stato di governabilità di un Paese e della solare mancanza di un’alternativa credibile al centrodestra. Pd, Terzo Polo e Idv si perdono in estenuanti trattative, in proposte e controproposte bizantine, si esercitano in correzioni ed equilibrismi sul filo di formule e parole dai significati multipli. Ma alla fine la posizione comune non esce fuori. Anzi, la maggioranza, astenendosi sui documenti del Pd e del Terzo Polo, consente a Fabrizio Cicchitto di poter dire che Pdl e Lega hanno dimostrato di avere una "linea aperta" mentre il centrosinistra si divide tra interventisti e pacifisti dibattendosi nelle nebbie della confusione. Così quando Giorgio Napolitano, ricordando la figura di Antonio Giolitti, avverte che la sinistra o è credibile e affidabile come alternativa o è condannata a restare all’opposizione, sembra riferirsi proprio a episodi di incertezze interne come questi e al perenne perdersi nei meandri e nelle alchimie della politica.
Il Pd, peraltro, oltre a non riuscire a unire i propri voti a quelli dell’Idv ed essere costretto a rifugiarsi nel gioco delle astensioni incrociate, non riesce neppure a raccogliere tutti i consensi dei propri deputati. Alla fine, infatti, sono sette i deputati del Pd che si astengono sulla mozione del proprio gruppo parlamentare sulle operazioni militari in Libia e altri sei quelli che non prendono parte alla votazione. Dario Franceschini, presidente dei deputati democratici, preferisce però puntare il dito contro la scelta dell’Italia dei Valori di votare una mozione per l’immediata cessazione dei bombardamenti sulla Libia. "Fare scelte di politica internazionale guardando ai sondaggi o ai risultati elettorali delle amministrative significa rinunciare alla politica", dice Franceschini.
Antonio Di Pietro, però, ci va giù duro e definisce "marchetta elettorale" il contenuto delle mozioni approvate, denunciando la loro "ipocrisia allo stato puro" perché quella in Libia "non è un’azione umanitaria, ma è un’azione di guerra che viola i principi della Costituzione che ripudia il ricorso alla guerra".
Il termometro dei rapporti tra i due principali partiti del centrosinistra segna dunque nuovamente temperature polari. E alla fine Bersani e Di Pietro, invece di segnare un punto a loro favore, sono costretti a fare il passo del gambero e a imbracciare le armi della polemica a distanza, dimostrando una volta di più l’impossibilità di una vera alleanza politica.