La ‘transizione’ di Tantawi assomiglia sempre più a una ‘restaurazione’

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La ‘transizione’ di Tantawi assomiglia sempre più a una ‘restaurazione’

01 Ottobre 2011

La domanda che ormai ci si dovrebbe porre quando si pensa all’Egitto è la seguente: con il dopo Mubarak, l’Occidente ha perso veramente un vecchio e prezioso alleato in Medio Oriente?

La risposta sembrerebbe essere ‘no’, almeno questo è quello che verrebbe da pensare leggendo alle ultime notizie rilasciate dalle agenzie stampa e dalle organizzazioni umanitarie su quello che succedein Egitto oggi.

Vero è piuttosto il contrario: è il popolo delle piramidi (e della sharia) ad aver perso il prezioso alleato occidentale. Gli egiziani sembrano proprio essere caduti dalla padella (del vecchio rais) alla brace del plenipotenziario Mohamed Hussein Tantawi, il padrone dell’Egitto ‘made in Tahrir square’. E’ il settantenne feldmaresciallo a dettare regole e tempi di questa lunga transizione e per gli egiziani non c’è più nessun garante o filtro al potere militare. In fondo Hosni Mubarak era pur sempre un militare che aveva dismesso la divisa per indossare gli abiti civili.

Il clima politico sotto la giunta è andato deteriorandosi. L’attacco all’ambasciata israeliana ne è un chiaro esempio. Appena avvenuto l’attacco al presidio diplomatico israeliano, il governo di Gerusalemme aveva tentato di contattare telefonicamente Tantawi, il quale pare si fosse reso ‘irreperibile’. Stesso trattamento è stato riservato agli Stati Uniti, benché alla fine due chiacchere con il Dipartimento di Stato, il feldmaresciallo deve averle fatte.

Neanche Obama era più tanto sicuro del buon esito della sua telefonata (avrebbe risposto a Netanyahu un poco rassicurante “farò quello che posso”). Quello di Tantawi è stato un chiaro messaggio per far capire chi oggi possiede le chiavi del Cairo (e con esse quelle del canale di Suez e del Sinai) ora che Mubarak non c’è più, oggi tristemente costretto a interpretare il malato dietro le sbarre.

Dopo la prova di forza, comunque, il peggio è stato scongiurato per il personale diplomatico di Gerusalemme ma è chiaro ormai che l’alleato statunitense che prometteva – e soprattutto promuoveva – libertà nel mondo, attualmente ha abdicato a ricordare alla regione mediorientale – Egitto compreso – che i diritti e di doveri delle genti in genere, delle minoranze religiose, e anche di Israele devono essere rispettati. Ricorda niente la ‘freedom agenda’ di G. W. Bush?  

Quanto alla minoranze cristiane, la loro condizione non è cambiata granché sotto Tantawi. Dalle rivolte di Febbraio scorso sono circa centomila i cristiani copti fuggiti alla sciabola cairota dei maomettani che li perseguitano. È quanto conferma una ricerca pubblicata dall’Egyptian Union for Human Rights del Cairo. Secondo le stime del direttore dell’organizzazione per i diritti umani Naguib Gabriel, nonostante il cambio di regime, continuano le violenze e le discriminazioni contro i cristiani egiziani, quel 10% della popolazione nazionale e nerbo dell’economia locale.

La causa dell’esodo sono le intimidazioni dei fondamentalisti salafiti e la mancanza di protezione da parte del nuovo governo. A preoccuparsi del nuovo Egitto, comunque, non c’è solo “Dio” ma anche Cesare. L’architettura politica costruita secondo i consigli del ‘geometra per caserme’ non promette niente di buono agli elettori che si presenteranno alle urne per uno scrutinio in tre turni che inizierà il 28 novembre prossimo.

Ma i partiti politici egiziani hanno minacciato di boicottare le elezioni del prossimo novembre se non verrà cambiata la legge elettorale che riserva 1/4 dei seggi parlamentari a candidati singoli senza partito.

Ciò che contestano i candidati egiziani è che questo sistema elettorale non solo favorisce gli ex membri del regime di Mubarak, ma anche iil demerito di favorire i partiti più ricchi, i quali avranno la possibilità di candidare più persone, schiacciando i movimenti nati proprio con la caduta del rais. 

Secondo padre Rafic Greiche, portavoce della Chiesa cattolica egiziana, intervistato da Asia News, “questo sistema permette ai personaggi facoltosi al di fuori del panorama politico di concorrere alle elezioni, influenzando a loro piacimento questo o quel partito I principali favoriti saranno gli ex membri del regime, invisi da tutti i partiti dopo la caduta di Mubarak, ma con grandi risorse finanziarie e mezzi di propaganda”. 

Neanche la data per le elezioni presidenziali, giorno in cui l’autorità del Paese verrà consegnata alla popolazione civile, è stata ancora fissata. I generali sono sospettati di ritardarne i preparativi così da rallentare la transizione politica.

“Durante la rivoluzione” continua padre Greiche “l’obiettivo era far cadere Mubarak con la speranza di un cambiamento. Ora questi ideali si sono logorati. Nessuno sa come agire”. E nemmeno si può sperare nella garanzia offerta dalla Comunità internazionale.

Il ‘Consiglio supremo delle forze armate’ rifiuta l’appoggio degli osservatori internazionali per garantire la trasparenza del voto. L’esercito ha però assicurato massima efficienza e chiarezza, affidando il controllo delle elezioni alla magistratura e riservando ai militari il compito di mantenere la sicurezza.

Anche su quest’ultimo fronte, le cose non sono molto cambiate. Secondo Amnesty International, i nuovi egiziani non si sentono molto sicuri nelle mani delle autorità militari. L’associazione per i diritti umani ha parlato di un video dove agenti di polizia e dell’esercito torturano i detenuti ed espresso la preoccupazione che i reclusi potrebbero essere ancora sottoposti a tortura fino all’uso di scariche elettriche.

In un comunicato stampa pubblicato da Amnesty si legge: “Le uniformi possono essere state sostituite con altre nuove, ma il comportamento delle forze di sicurezza sembra essere lo stesso di prima”.