La lettera della Bce è solo un riassunto delle occasioni perse dal centrodestra

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La lettera della Bce è solo un riassunto delle occasioni perse dal centrodestra

03 Ottobre 2011

L’articolo Meno male che la Bce c’è!, pubblicato su questo giornale il 30 settembre 2011, relativo alla lettera della banca centrale europea al governo italiano, merita una breve riflessione aggiuntiva che superi la polemica corrente, affrontando senza preconcetti il nocciolo politico della questione.

Ha ragione Antonio Mambrino, i suggerimenti contenuti nella lettera non sono una impropria invasione di campo né configurano una proterva limitazione della sovranità nazionale, ma si limitano a formulare un elenco di misure elementari per fronteggiare in modo meno affannoso la crisi finanziaria ed economica. Non solo, tutte le richieste della Bce investono temi che il centro destra ha nella sua agenda ideale e su cui aveva, a più riprese, tentato d’intervenire.

Un progetto governativo di riforma delle pensioni, che prevedeva un aumento progressivo dell’età in cui era possibile lasciare il lavoro, fu una delle cause scatenanti della crisi che portò alla caduta del primo gabinetto Berlusconi nell’oramai lontano autunno del 1994. La riforma del mercato del lavoro (emblematizzata nella modifica dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori) fu al centro di una lunga e infruttuosa schermaglia politica nel corso della quattordicesima legislatura. La questione della liberalizzazione dei servizi pubblici locali è un amaro ricordo della scorsa primavera. In quell’occasione, sperando in modo miope che il quorum non sarebbe stato raggiunto, il centro destra non fece alcuna campagna per spiegare le ragioni che militavano a favore della necessità di coinvolgere i privati nella gestione degli acquedotti evitando aggravi alla finanza dei comuni e, soprattutto, togliendo ai partiti (o alle loro concrezioni locali) un indebito potere di patronage. In sostanza la lettera di Trichet e Draghi non è solo un catalogo di provvedimenti oculati per il buongoverno liberale della crisi, ma è anche un impietoso riassunto delle occasioni perse in questi anni dal centro destra per inverare le parole d’ordine a favore del mercato, della concorrenza e della produttività del lavoro, spese con abbondanza durante le campagne elettorali. Se anche una metà delle cose suggerite nella lettera fosse stata fatta in questa legislatura, o ancor prima in quella fra il 2001 ed il 2006, l’Italia avrebbe potuto affrontare con minore apprensione la crisi attuale.

Di occasione persa si può parlare anche da un altro, e più significativo, versante. Quando, all’inizio dello scorso mese di agosto, la lettera è stata recapitata bisognava prendere la palla al balzo; occorreva farsi accortamente scudo del vincolo esterno costituito dai desiderata dalla Bce per metter mano alle riforme. Così si sarebbe evitata una manovra a base di tasse, recuperando al tempo stesso, con un colpo d’ala, il profilo liberale del governo. Invece, per il combinato disposto di un miope calcolo elettoralistico e dei micidiali veti corporativi della Lega, si è preferito evitare scelte innovative, replicando il trito e tristo copione di un semplice aumento della pressione fiscale. Come irritante diversivo polemico si è poi data la colpa delle difficoltà italiane alla speculazione internazionale, dimenticando che, al di là della indubbia volatilità dei mercati, per affrontare al meglio la crisi era ed è indispensabile migliorare i fondamentali del sistema paese.

Qualche tempo fa Angelo Panebianco osservava che il centro destra al governo si giustifica se è in grado di liberalizzare, cioè di dare voce alla constituency sociale che l’ha sostenuto. Il monito del politologo bolognese resta vero al di là di ogni valutazione politica contingente. In altri termini, non serve a molto rilevare che la sinistra non è in grado di offrire un’alternativa credibile o che la caduta di questo governo non risolverebbe i problemi di fondo dell’Italia. Che la cosa ci piaccia o meno, occorre rendersi conto che la scarsa incisività dell’azione di governo sul fronte economico rafforza ogni giorno che passa la prospettiva di un esecutivo tecnico.