La sicurezza internazionale? Tu chiamale, se vuoi, emozioni
03 Luglio 2011
“Le policies che assumono la natura umana come una tabula rasa dovrebbero essere riesaminate e riviste per conformarsi al fatto che l’uomo ha un codice genetico incorporato per la sopravvivenza, senza prova alcuna di una moralità innata”. Incontrare su “Foreign Affairs” il promo di Emotional amoral egoism produce un brivido immediato. Una teoria neurofilosofica della natura umana e delle sue implicazioni di sicurezza universale finalmente arricchita del contributo di discipline recenti come la biologia molecolare e le neuroscienze, annuncia una convergenza attesa da decenni. Scriverne per “L’Occidentale” prolunga il brivido: per motivi legati alla lettura, ma più ancora per quello che promette una meta-lettura del volume, se il lettore ne ha la pazienza.
L’Autore è medico, laureato a Newcastle, Ph.D. in neurofarmacologia alla Mayo di Rochester, residente di neurochirurgia sempre alla Mayo, fellow per le neuroscienze e la neurochirurgia a Yale e senior member del St. Anthony’s College a Oxford, dove inizia il transito verso gli studi di geostrategia che lo porteranno dal 2006 all’incarico di Direttore del Programma sulle Geopolitiche della Globalizzazione del Geneva Center for Security Policy. Il profilo scientifico di Al-Rodhan fa accantonare lo sconcerto per l’ambiziosa sistemazione teorica suggerita dal titolo, e dal sottotitolo. E’ un ventaglio di competenze e di esperienze marcatamente transidisciplinare, ma fondato su livelli di eccellenza scientifico-accademica nelle singole discipline: adeguato, quindi, per una rilettura della natura umana che vuole spingersi dal “gene egoista” di Dawkins e dal congetturale “Replicator” degli incubatoi primordiali fino al mondo quasi totalmente antropizzato, globalizzato e interconnesso di oggi.
Gli scopi dichiarati del volume sono due: in primo luogo, raggiungere una comprensione della natura umana che possa offrire la promessa di vivere una vita buona: “cosa motiva il genere umano?”, “di cosa è capace l’umanità sotto certe circostanze?”, “posseggono gli umani una moralità innata?” A partire da riferimenti condivisi del dibattito, perciò, il testo risale rami e radici della filosofia, della psicologia, della sociobiologia e della psicologia evolutiva, integrandoli attraverso i contributi più recenti delle neuroscienze. In secondo luogo, il volume esplora alcune implicazioni globali e per la sicurezza di una natura umana così ridefinita, indicando possibili direttrici per facilitare una migliore cooperazione politica e morale nella gestione delle relazioni internazionali e degli altissimi rischi che incombono sul mondo di oggi.
La lettura. Il volume non si propone – dichiaratamente – di approfondire tutti i temi che raccoglie. Punta invece al valore “reticolare” dell’esposizione, volutamente “fair and balanced”. La lettura ne viene favorita, anche perché i temi chiave sono ripresi e connessi senza particolari forzature, nell’ambito di una enciclopedia aggiornata, e ben condivisa anche nella enunciazione delle principali controversie aperte. Il sommario, che apre con “il concetto contestato di natura umana” per seguire con una panoramica storica del pensiero sull’argomento, ne fa fede. Dai principali approcci religiosi e spirituali a quelli filosofici, psicologici, evolutivi e neuroscientifici l’autore trae la sistemazione teorica che denomina “egoismo amorale emozionale” (eae), rispecchiata in una altrettanto specifica teoria della motivazione umana, in larga parte sorretta da considerazioni di tipo evolutivo-selettivo. La disamina dei motivi della persistenza e del valore evolutivo delle motivazioni emozionali – esplicita e netta – risulta reticente soltanto nel lasciare aperto l’interrogativo del finalismo, aspetto non indifferente per le sue implicazioni morali.
Le motivazioni passate in rassegna – autointeresse, paura-dolore-lutto, ego-orgoglio-reputazione, piacere, avidità, inclinazioni individuali, motivi circostanziali, riflessioni e moralità – sono ricomposte in un diagramma ottagonale motivazioni-conseguenze, visione sinottica e prima sintesi di “eae”. Le schematizzazioni grafiche torneranno nel corso del volume, a sottolinearne l’intento paradigmatico. La natura universale delle emozioni e il repertorio secondo il quale si manifestano e si distinguono introduce riflessioni fondate sull’indagine biologica: predisposizione genetica, variazioni eterogene e tratti della personalità, mediazioni neurochimiche. Per la loro incidenza sulle motivazioni, vengono esaminate anche le alterazioni comportamentali e le protesi funzionali promesse delle scienze e delle tecnologie, rilanciando la domanda su un possibile futuro post-umano.
Serbando alla riflessività come auto-consapevolezza intellettuale del sé e alla moralità intesa secondo le principali accezioni filosofiche due succinti paragrafi conclusivi, in particolare, Al-Rodhan si schiera per un ruolo preminente delle emozioni rispetto alla convenzione socialmente indotta o al frutto consapevole dell’autoriflessione. Il bias etico precede infatti l’elaborazione degli stimoli percettivi sul piano cosciente, in modo chiaramente rilevabile tramite RMF della corteccia. Al tempo stesso, i mediatori neurochimici dell’autogratificazione suggeriscono però che la chiusura dell’ottagono ricolleghi il “piacere” associato alla scelta morale con l’autogratificazione stessa, dando così luogo a possibili dinamiche di dipendenza/assuefazione che richiudono il circuito di feed-back.
Queste considerazioni conducono inesorabilmente all’affermazione del ruolo preminente delle emozioni: un substrato comune all’intera specie, secondo Darwin, e nondimeno declinato secondo il “valore di sopravvivenza” che può assumere a fronte di differenti pressioni selettive, espresso e portato alla coscienza secondo aspetti ambientali e culturali variegati e complessi, condizionato da meccanismi socio-culturali ed economici tutt’altro che banali.
Cade qui un’osservazione non secondaria: l’impianto della teoria “eae” non include una considerazione esplicita degli aspetti linguistico-simbolico-formali dell’interazione umana. Al-Rodhan riconosce il portato degli studi recenti sui neuroni-specchio come chiave per l’istituzione e per la comprensione dei linguaggi del corpo: quindi, per il fondamento delle relazioni empatiche. Ma, da neurofisiologo, relega in appendice a Dawkins un accenno sommario al concetto di “meme”, centrale invece per comprendere l’interazione culturale tramite linguaggi prevalentemente verbali. Questi hanno infatti influenza sul destino stesso del pool genetico condiviso entro i diversi gruppi umani, come rilevò Cavalli Sforza in “Geni, Popoli, Lingue”. Che Michael Leeden abbia commentato positivamente il volume costituisce in questo senso una malleva – data le competenze di Leeden in linguistica e in storia delle ideologie – ma non un argomento sufficiente “if we are to design effective systems of political and moral cooperation”. Gli Stati sono infatti, anche per Al-Rodhan, “attori razionali” i cui atti sono ancorati a formulazioni prescrittivo-sanzionatorie di tipo verbale, nonostante i caveat espressi a suo tempo da Watzlawick sulla traducibilità dei trattati.
Prima di passare alle considerazioni sulla Global Security, Al-Rodhan colloca la sua teoria “eae” nella serie storica degli approcci filosofici alla natura umana. La matrice – che compara il grado di sviluppo dei temi compresi fra le Emozioni e la Moralità attraverso formulazioni che vanno da Platone, Aristolele e Confucio, fino a Maslow, Dawkins, Pinker, Singer, De Waal, Hauser e Al-Rodhan stesso – offre uno stimolo efficace alla rilettura reticolare e diacronica del tema complessivo sollevato dall’Autore. Nella teoria “eae e delle Relazioni Internazionali” delineata a seguire convivono, come è logico aspettarsi, ulteriori temi analitico-descrittivi – determinismi materiali, libero arbitrio, costruzione dell’identità, contesto di un “mondo istantaneo e interdipendente”, radicalismi, xenofobia, etnocentrismo – con nuovi approcci alla comprensione di vecchie e nuove classi di conflitti. Dal conflitto interpersonale a quelli intrastatali, etnici, interstatali, fino ai conflitti fra civilizzazioni, i livelli sono esplorati secondo la griglia della teoria “eae”.
Il problema dei “Confini delle Comunità Morali” che ne consegue viene affrontato in rapporto alle origini dei comportamenti, sottolineando l’esigenza che si pone alla Global Governance di un “approfondimento e allargamento” delle Comunità Morali stesse. In un capitolo di conclusioni, implicazioni e raccomandazioni vengono formulate a tale scopo linee guida per le policies in materia di motivazioni, emozioni, riconoscimento delle predisposizioni genetiche, delle differenze fenotipiche e delle inclinazioni individuali, psicopatologie, neurochimica, influenze ambientali, modificazione del comportamento – raccomandando che nelle Relazioni Internazionali vengano incluse adeguate azioni di prevenzione e accreditati adeguati standard condivisi. Ecco le raccomandazioni conclusive in materia di Moralità:
1. Non si dovrebbe far conto sulla moralità, se presente, perché sarà annullata dall’egoismo nella maggior parte delle circostanze.
2. Tutte le politiche dovrebbero essere confezionate con piena consapevolezza dei limiti della natura umana (amoralità, emozionalità, egoismo) sia a breve che a lungo termine.
3. Occorre stabilire meccanismi di early warning per individuare e prevenire la violenza e la brutalità in situazioni di quasi-anarchia (per esempio, disastri naturali) e all’interno di Stati falliti o prefallimentari.
4. La cooperazione internazionale è richiesta per prevenire situazioni d’anarchia e per smascherare l’onnipresente brutalità e l’ingiustizia che risulta dalla paura per la vita in simili situazioni.
5. Le policies devono sempre essere compassionate e umane non solo per ragioni morali, ma in primo luogo perché è interesse nazionale di ogni Stato nell’attuale mondo interconnesso e globalizzato.
6. Occorre stabilire incentivi per la promozione di elevati standard morali nelle comunità globali dell’intrattenimento, della letteratura e delle arti.
Resta centrale, in questo senso, l’attenzione al valore di sopravvivenza della bussola morale del genere umano.
La meta-lettura. Lo scenario inquadrato dalla teoria “eae” si definisce secondo una geometria “a clessidra”: il sistema delle relazioni globali coinvolge attori collettivi motivati – fattualmente, culturalmente, socialmente, simbolicamente, ecc. – dallo stesso sistema di emozioni che costituisce il retaggio motivazionale incorporato nella natura umana. Inoltre, gran parte degli attori collettivi – si pensi ai grandi movimenti religiosi, agli advocacy groups, a molte ONG, alle dinamiche collettive del web – sono al tempo stesso sia “amoral”, sia sostanzialmente “unaccountable”, sia caratterizzati da un “vincolo aggregativo debole”. Questo li spinge a un difficile bilanciamento fra obiettivi sostanziali, spesso anche encomiabili, e obiettivi di proselitismo, nettamente condizionati dall’esigenza di intercettare emozioni radicali e diffuse per trasformarle in consenso e in risorse per l’azione.
Se questa è la metà universale-globale della clessidra, l’altra metà continua a contenere nelle forme più individualizzate e contingenti l’egoismo amorale emozionale degli attori singoli. A costo di sforzare la metafora, il “collo” della clessidra resta l’unico punto del sistema ad essere presidiato da “attori (almeno in prima approssimazione) razionali”: gli Stati, in primo luogo, e i grandi soggetti economico-finanziari. Questi ultimi, in qualche misura, esercitano una “razionalità limitata”: nello scommettere su aspettative, infatti, rientra in campo tutto l’interplay delle motivazioni emozionali, come dimostrano anche gli andamenti dei mercati.
Gli Stati e i loro aggregati sovranazionali formali sono quindi i principali destinatari delle raccomandazioni finali di Al-Rodhan, in quanto unici soggetti potenzialmente capaci di elaborare e applicare con razionale continuità il complesso di policies suggerito. Questi soggetti, tuttavia, mediano razionalmente rispetto a principi di consenso; almeno, nei casi migliori. Si dovrebbe, in altri termini, fare affidamento su modelli giuridici, organizzativi e funzionali che – nel produrre sintesi e direttive affidabili per rendere sostenibile l’evoluzione dei rapporti fra soggetti evidentemente segnati dall’emozionalità, dall’amoralità e dall’egoismo – fanno perno su una cultura sostanzialmente occidentale, razionalista. Una cultura modellata in fondo sul post-Pace di Westfalia: “cuius regio, eius atque religio”. La convivenza nella multiculturalità, multi-confessionalità, multi-etnicità poggerebbe quindi su un tessuto meta-culturale “mitemente acculturante”, che gli “attori razionali” dovrebbero sostenere attivamente sulla base di una condivisione implicita, all’interno di una oligarchia razionale globale che già assume quegli elementi come scontati.
La nostra meta-lettura trova conferma nella serie storica delle 27 teorie di riferimento messa in diagramma dall’Autore: tutte formulate da Autori occidentali, con la sola eccezione di Confucio. Autori che, appunto fino al tempo della Pace di Westfalia, sono stati generalmente perseguitati, proscritti o messi a morte dalle loro stesse comunità di riferimento. Anche il vasto background disciplinare della ricerca – l’evoluzionismo, la genetica molecolare, le neuroscienze, la sociologia – pur nell’ampio seguito goduto dalle diverse discipline presso comunità delle tradizioni più diverse, discende direttamente dai fondamenti di metodo sanciti con Pitagora ma soprattutto con Keplero, Newton, Galileo, Lavoisier e così via.
La geometria apparente del volume stride perciò con l’ipotesi multiculturalista-egalitaria sostenuta esplicitamente dall’Autore. O meglio: l’ipotesi formulata sembra la chiave di un’apertura verso interazioni creative e al riparo dai conflitti, dove “l’aggressività per paura della paura”, per esempio, non dovrebbe più produrre i noti effetti devastanti. E dove, anzi, dovrebbe prevalere – se non l’irenismo di alcuni, credenti e non – almeno la volontà di rimuovere il bisogno, l’ignoranza e l’esclusione che esasperano i conflitti già serpeggianti in tutte la aree critiche del pianeta, facendo perno su meccanismi di rappresentanza e di inclusione.
Come spesso accade ai filosofi, Al-Rodhan (che pure ha moltissimo prodotto, cfr. anche www.sustainablehistory.com) sembra distrarsi sugli aspetti quantitativi: i prossimi 3 miliardi di terrestri potrebbero non essere accolti da sistemi educativi in grado di allinearsi alle sue raccomandazioni. Anzi, vediamo già in troppi casi che l’investimento educativo va in direzioni radicalmente opposte, puntando a fare degli allievi dei combattenti radicali o degli ansiosi consumatori di futilità. Le faglie geopolitiche legate all’energia, ai terreni coltivi, all’acqua obbligano a risposte nelle quali il vincolo della quantità prevale sul principio. Alcuni temi intrinsecamente globali, come il clima e la demografia, vengono vissuti da differenti comunità come obiettivi nobili o – al contrario – come costrizioni che ammonteranno a futuri svantaggi competitivi.
Il brivido speranzoso del recensire “eae” per “L’Occidentale” è nel poter proporre a orecchie attente di dedicarsi a sostenere con orgoglio il complesso di nozioni, antecedenti, metodiche e valori – tutti occidentali – citati dall’Autore a suffragio di raccomandazioni razionali, ottimistiche e ispirate: per il caso che non ci sia il tempo di tradurle in fatti, e che tornino presto in primo piano i “talenti della sopravvivenza”. Che sono radicati, motivanti e facili da condividere socialmente: “tu chiamale, se vuoi, emozioni”, ma principi di precauzione sarebbe almeno altrettanto appropriato.
Emotional Amoral Egoism: A Neurophilosophical Theory of Human Nature and its Universal Security Implications, Dr. Nayef R.F. Al-Rodhan – Geneva Centre for Security Policy (GCSP), Lit Verlag, Wien-Zurich-Berlin – 2008, Transaction Publishers (US distribution) – 2010