Fuoco da sinistra contro la Conferenza sull’Afghanistan

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Fuoco da sinistra contro la Conferenza sull’Afghanistan

03 Luglio 2007

E meno male che Hanefi è stato scarcerato e che Emergency si appresta a tornare in pompa magna nel paese. Perché se il mediatore messo in campo da Gino Strada nel sequestro Mastrogiacomo non fosse stato rilasciato in tempo utile, la conferenza internazionale di Roma sulla giustizia in Afghanistan si sarebbe ridotta ad una stucchevole resa di conti ad uso politico interno tra il nostro governo e il presidente Karzai. La sinistra radicale avrebbe avuto buon gioco a tornare a chiedere la fine dell’impegno italiano a Kabul e il ministro D’Alema si sarebbe lanciato nel consueto sfoggio di visione illuminata nel chiedere a Karzai spiegazioni sulla vicenda.

Pericolo scampato, la conferenza è salva? Niente affatto. Malgrado Hanefi sia libero – anche se il ruolo che ha svolto nella vicenda è ancora tutto da chiarire – la due giorni romana è nata sotto una cattiva stella e sta assumendo i toni di una verifica di governo sulla politica estera chiesta dall’ala estrema della coalizione più che un appuntamento diplomatico di primo livello, come ripetuto da mesi dalla Farnesina.

Sono stati gli ultimi raid della Nato a riaccendere gli animi più focosi della maggioranza. Rifondazione, Comunisti Italiani e Verdi sono tornati a picchiare sull’esecutivo affinché si faccia carico della più improbabile delle richieste: appellarsi all’Alleanza Atlantica per la fine delle incursioni aeree proprio mentre l’offensiva di primavera comincia a dare i primi frutti. Altrimenti – hanno attaccato da sinistra – il ritiro delle nostre truppe diventa inevitabile e il governo mette a rischio la sua stessa sopravvivenza. Non solo: ampi settori della maggioranza hanno criticato duramente l’opportunità stessa di convocare a Roma una conferenza sulla Rule of Law proprio mentre il paese fa fronte ad un’escalation di vittime civili. Il senatore dei Verdi Bulgarelli ha addirittura parlato di “conferenza farsa”. In sintesi, prima di parlare del diritto bisogna fermare le attività belliche.

In questo quadro così desolante per il governo del paese ospitante, il vertice ha mosso i primi passi soprattutto su questioni squisitamente tecniche ma è oggi la giornata importante, quella più politica. Quella in cui si entrerà nel vivo della questione, ovvero come sostenere l’Afghanistan nel proprio percorso di avvicinamento agli standard democratici occidentali.

Lo Stato di diritto nell’era post-talebani resta ancora una chimera. La struttura legale è fragile, gli avvocati ufficialmente registrati sono solo 227 in un paese di oltre 30 milioni di abitanti. Gli stipendi sono da fame: un magistrato ordinario guadagna in media 50 dollari, quando ce ne vogliono 200 per affittare un appartamento di Kabul e un quadro del genere è il miglior modo per il dilagare della corruzione. I diritti della difesa sono spesso calpestati, per non parlare delle drammatiche condizioni carcerarie.

Sullo sfondo, resta l’ombra della Sharia: formalmente cancellata dalla costituzione in vigore dal gennaio del 2004, la legge coranica è stata ripristinata in diverse province e i molti casi ha provocato autentiche mostruosità giudiziarie.  Basti ricordare, per tutte, la vicenda di Abdul Rahman, l’uomo condannato a morte per apostasia perché convertitosi al cristianesimo e salvato solo dalla mobilitazione internazionale e dall’intervento del governo Berlusconi.

Eppure, qualcosa si muove: grazie agli sforzi del governo Karzai ma anche al contributo della comunità occidentale che ne sostiene da vicino i progressi. Sotto forma di fondi, aiuti logistici e di formazione del personale. L’Unione Europea si è appena impegnata a far arrivare a Kabul 610 milioni di euro nel triennio 2007-2010, 200 dei quali solo per la giustizia. Anche l’Italia si è mossa: il sottosegretario agli Esteri Vernetti ha annunciato che Roma metterà a disposizione 10 milioni e farà in modo che si allarghi il gruppo dei donatori internazionali. Ma sviluppo e giustizia – ha tenuto a precisare Vernetti – vanno di pari passo con l’attività militare.

A fronte di numeri che fotografano un impegno concreto, non stupiamoci però se dal documento finale del summit dovessero uscire soltanto pacche sulle spalle a Karzai e vaghi propositi di sostegno. D’Alema e Prodi, infatti, avevano ben altre intenzioni: a due giorni sulla giustizia avrebbe dovuto costituire un antipasto della vera conferenza di pace: quella conferenza che, come disse Fassino, avrebbe dovuto riunire talebani e Occidente attorno allo stesso tavolo.

Per oggi, a quel tavolo, ci sono 26 delegazioni da mettere d’accordo, almeno sulle buone intenzioni: sembra quasi un vertice dell’Unione.