L’Università della Gelmini cambia pelle ma sacrifica i talenti

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

L’Università della Gelmini cambia pelle ma sacrifica i talenti

01 Maggio 2011

Questa non è retorica ma sicuramente rimanda al mito dei giovani, della gioventù, che attraversa la storia italiana (culturale, letteraria e non solo) proprio a partire, almeno, dal Risorgimento evocato dalle sponde d’Albione. Tutto bene, o quasi. La gerontocrazia – e quindi, letteralmente, il rischio di un invisibile ma traumatico ‘genocidio’ generazionale – è senz’altro un risvolto della crisi che sta intaccando i sistemi politici e sociali di questo ultimo scorcio di secolo e inizio millennio, a livello europeo e con qualche eccezione.

Rimanda a processi economici e politici che nel pezzo restano sullo sfondo, si danno per scontati: la crisi del liberismo, il collasso del modello di sviluppo che ha trionfato, qui in Italia, tra Ottanta e Duemila, e oggi barcolla sotto i colpi della sua stessa fragilità endemica, delle ingiustizie e sperequazioni sociali che lo animano storicamente e, direi, geneticamente (Marx, mi pare). Ora, questo nuovo appello ai giovani di R. S. ricorda da vicino un Prezzolini d’annata, dalle colonne della Voce. È l’appello generoso e accorato di chi offre rappresentazioni della realtà ispirate troppo spesso ad un volontarismo generico, astratto. Non guarda cioè alla dialettica reale: l’università e le sue riforme, per esempio.

Come non comprendere che le politiche di destra sull’università – a livello europeo e non solo nell’Italia di una giovane donna ministro per caso, che confonde Fogazzaro con Gozzano – sono la controffensiva di un liberismo in agonia, e per questo virulento e a tratti reazionario?; che i tentativi di ‘riforma’ sono il riflesso di una volontà politica di chiudere l’accesso anziché allargarlo, di tagliare indiscriminatamente piuttosto che razionalizzare, di camuffare la persistenza di privilegi piuttosto che scardinare logiche e pratiche di un (vecchio) potere consolidato? Il sistema universitario voluto in Italia si rinnoverà appena (grandi dipartimenti, fine delle facoltà, listoni per l’abilitazione: il tutto aspettando i decreti attuativi che stentano come le nozioni della letteratura italiana del nostro ministro per caso); cambierà pelle, ma solo e soltanto per rilanciare e perfezionare le logiche conservatrici e ‘mafiose’ (corporative, localistiche) che certo non favoriscono ma sacrificano e, letteralmente, accompagneranno all’uscita talenti (non tutti), risorse e potenzialità di almeno due generazioni col pallino della ricerca (magari, helàs, umanistica).

Un consiglio al Prezzolini del 2011: il mito dei giovani – "gli under 25 cocciuti che ancora rimangono in Italia, nelle loro città universitarie e nei loro paesi di provincia" – è davvero un mito reversibile. Può portare ad un reale sommovimento sociale e politico, quasi antropologico, se accompagnato dalla visione lucida e strategica del contesto e dello Spirito dei Tempi, del ruolo effettivo che i giovani, oggi, rivestono come ingranaggi (merce) e forza-lavoro dequalificata; ma può portare anche a imprese di carta, parole al vento, funzionali alla mistificazione e all’elusione dei processi sociali, reali e materiali, che governano, oggi, le ‘politiche giovanili’ (dall’istruzione allo stato sociale). Forse per R.S. si tratta soltanto di un mito letterario, consumato su qualche libro della più alta letteratura americana e italiana contemporanea (non Fogazzaro).