In Egitto le chiese bruciano, in Afghanistan sono già scomparse
11 Ottobre 2011
Nei giorni scorsi la ferocia salafita ha mietuto nuove vittime nella comunità copta egiziana e la giunta militare al potere non ha battuto ciglio. Sappiamo che i copti stanno facendo le valigie, e che gli islamisti attendono con ansia di impadronirsi delle loro ricchezze. Il loto di Piazza Tahrir si è spezzato e le rivoluzioni del mondo arabo mostrano il loro volto peggiore, quello del fondamentalismo islamico.
Ma c’è di peggio, e non se ne parla. In Afghanistan, secondo il Dipartimento di Stato americano, non ci sono più chiese cristiane. Nessuno si azzarda ad aprirne una sotto il governo del "democratico" presidente Karzai, le uniche cappelle dove ospitare i credenti sono quelle negli accampamenti militari e nei PRT. La nuova Costituzione in teoria dovrebbe difendere le fedi minoritarie, in pratica la libertà religiosa è una chimera.
Non che durante l’Emirato Talebano in Afghanistan le cose andassero diversamente, figuriamoci. Ma dopo aver rovesciato il mullah Omar gli Usa hanno speso 440 miliardi di dollari per sostenere il governo Karzai e 1.700 soldati americani sono morti per liberare il Paese. E’ stato tutto inutile: nella nuova democrazia afghana, in cui l’Islam è religione di Stato, gli apostati rischiano di perdere quello che hanno, il lavoro, i legami familiari e con gli abitanti del loro villaggio, uno straccio di assistenza legale quando vengono trascinati in tribunale. Hamid Karzai ha fatto davvero un grande lavoro.