L’ambasciatore saudita Adel Al-Jubeir deve morire

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L’ambasciatore saudita Adel Al-Jubeir deve morire

14 Ottobre 2011

di E.F.

Sembra di vederlo oggi, Barack Obama appena arrivato alla Casa Bianca, lo scorso 19 Marzo 2009: sfondo bianco, pieno di buone intenzioni – le stesse che spese in campagna elettorale quando dichiarava che avrebbe voluto impegnarsi con il Venezuela di Hugo Chavez e l’Iran di Ahmadinejad – mentre rivolge gli auguri di Nowruz in video messaggio al popolo iraniano.

Ricordate, la politica buonista della ‘mano tesa’, dopo i venti di guerra di quei guerra fondai dell’amministrazione Bush. Sono passati solo due anni e mezzo da quando il presidente ‘tendeva le mani’ al regime degli ayatollah. Immaginiamo la delusione sul volto del presidente americano quando lo hanno messo al corrente della faccenda. “Sig. Presidente, l’Iran sta cercando di far fuori l’uomo di Riyadh a Washington DC”, il ‘miglior’ alleato degli Stati Uniti nella regione mediorientale.

Eric Holder, Attorney General, il ministro di giustizia statunitense, è andato in conferenza stampa dal Departement of Justice (DoJ), tre giorni fa per annunziare che gli iraniani, tramite ‘l’unità operazioni speciali’ della Guardia Rivoluzionaria Iraniana, le Forze Qods (che il dipartimento del Tesoro statunitense nel 2009 ha messo in lista nera per aver fornito forniture di armi ai talebani in Afghanistan), stavano organizzando un attentato per uccidere niente meno che l’ambasciatore saudita negli Stati Uniti, Adel Al-Jubeir.

Lo hanno arrestato al JFK di New York, il cinquantaseienne  Manssor Arbabsiar, l’unico sospettato del fallito attentato nelle mani delle autorità federali. Dal 29 Settembre scorso è sotto custodia statunitense. Arbabsiar è membro delle Qods, così come il suo complice, e forse superiore in grado, Gholan Shakuri, quest’ultimo di base in Iran. Lui è a piede libero, probabilmente in Iran. Entrambi sono accusati dalle autorità statunitensi di cospirazione nell’assassinio di funzionario straniero e di una lunga lista di capi d’accusa. Sembra una storia uscita dal plot di un degno film di spionaggio americano.

Tutto inizia la scorsa primavera, il 24 Maggio scorso a voler essere precisi. Un infiltrato messicano della DEA, la Drug Enforcement Administration (il braccio anti-droga del governo americano), nelle vesti di esponente di un cartello del narcotraffico messicano, che chiameremo Mr. X, viene contattato da Arbabsiar, il quale gli propone di assoldarlo per uccidere il saudita. Non è l’unico a esserne al corrente: altri membri delle Qods lo sono e poi c’è il suo ‘case officer’, Shakuri. Per far prova di buona fede, Arbabsiar si offre di versare al suo murder-for-hire, al killer a pagamento, 100,000 dollari americani. Durante il primo incontro, Mr. X fa prova di competenza, vantandosi un po’: “Io, con il C4, ci so fare”.

“E’ l’uomo giusto per il lavoro”, deve aver pensato Arbabsiar, sull’aereo di ritorno dal Messico verso Teheran. Non passa molto tempo, e Arbabsiar si rimette in volo per il Messico. Lo fa in varie occasioni nel Giugno di quest’anno. C’è da immaginarsela l’afa messicana. Un incontro – magari più di uno – in luoghi climatizzati, fumosi, pieni di bevande mezze terminate sul tavolo. Parole dette con cautela, senza risate: il ‘lavoro’ deve essere fatto seriamente, ben pianificato. E poi bisogna capire se questo è veramente l’uomo giusto per l’operazione.

L’iraniano ha già fatto qualche sopralluogo a Washington DC. Ha affittato un’auto, girato nel quartiere dell’ambasciata saudita. Non lo sa, ma è già sorvegliato. L’FBI gli sta già alle calcagna, lo segue. Una camionetta, più auto. Gente per strada. Arbabsiar è ignaro di tutto. Lui si preoccupa solo di capire gli spostamenti dell’ambasciatore saudita, l’obiettivo. I suoi orari, i suoi rituali. Dove va a cena fuori di solito? Qual è il suo ristorante preferito? Con chi si muove? Quanti gli uomini di scorta? Quante auto? Quando lo si può far fuori con minor margine di fallimento? Annota tutto Arbabsiar. A Teheran vogliono un rapporto preciso. Non vogliono sbagli. Il ‘traditore’ saudita, Adel Al-Jubeir, il nemico dell’Iran, è spacciato come John Barleycorn nella canzone dei Traffic: “deve morire”.

Il 17 Luglio Arbabsiar torna in Messico, deve definire i dettagli con Mr. X. Stavolta l’uomo della DEA gli dà le sue di istruzioni: gli servono quattro uomini per fare il ‘lavoro’ e scrive la cifra su un pezzo di carta: 1,500,000 milioni di dollari. Arbabsiar annuisce, sembra accettare. Mr. X non si fida. La prima tranche, i 100,000 dollari promessi, non si sono ancora visti. Sa che alla DEA vogliono incastrarlo per bene il manipolo di attentatori, hanno bisogno di tracciare i soldi. Vogliono capire da dove arrivano. Vogliono sapere se sono cani sciolti questi delle Qods o se gli ordini arrivano dall’alto.

Alla Casa Bianca devono sapere quanti nel governo iraniano sono al corrente di quello che succede e soprattutto a quale livello. Tra pochi giorni c’è il voto per il secondo pacchetto di sanzioni varato dall’amministrazione statunitense contro l’Iran. All’amministrazione serve un chiaro quadro della situazione. Durante l’incontro del 17 Luglio finalmente Arbabsiar entra nello specifico: “Avrai i soldi in questo modo. Te li faremo arrivare su un conto sicuro”, dice a Mr. X. Lui gli risponde che ha il suo di conto, perfetto per questo genere di affari: è l’FBI che glielo fornisce.

Passano due settimane. Il 1 Agosto e il 9 dello stesso mese, Arbabsiar, con l’approvazione del suo ‘case officer’ Shakuri, fa vedere i soldi: due versamenti che sommati arrivano alla cifra pattuita. E’ la pistola fumante di cui aveva bisogno il DoJ. “Questo è l’assaggio”, dice Arbabsiar a Mr. X. “A lavoro fatto, avrai il resto”. Il 20 Settembre, Mr. X chiama Arbabsiar, gli dice che o gli fa avere metà del pattuito subito, oppure Arbabsiar in persona sarà costretto ad andare in Messico, come ‘cauzione umana’ per il pagamento finale. Arbabsiar accetta di farsi cauzione: 650,000 dollari non è una cifra che a Teheran tirano fuori con un batter di ciglio. Il ‘lavoro’ deve essere almeno fatto. Il cambio rial-dollaro è impietoso.

Arriva il giorno dell’arresto. Sedici giorni fa, il 28 Settembre, Arabsiar vola verso il Messico. Sa che a repentaio c’è la sua vita. “Se qualcosa dovesse andare storto”, pensa mentre è in volo da Teheran, “ci lascio la pelle”. Arriva al controllo passaporto in Messico e Arbabsiar viene fermato. Non c’è più spazio per lui sul suolo della republica norte-americana. Viene rimbarcato sul volo per Teheran. Ma non è un volo diretto, fa scalo a New York, all’aeroporto JFK. E’ lì che lo arrestano: “Mr. Arbabsiar, you are under arrest”.

Giù con i Miranda rights: “Ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dica può e sarà usata contro di lei in tribunale. Ha diritto alla presenza di un avvocato durante l’interrogatorio. Se non può permettersi un avvocato, gliene verrà assegnato uno d’ufficio”. Perde il controllo Arbabsiar, confessa di lì a poco. E’ il 29 Settembre 2011. Il DoJ aspetterà ben 12 giorni per andare in conferenza stampa. Con i Miranda rights, l’uomo non lo avranno torchiato, certo che no. Questa è l’amministrazione Obama, non è mica quella di Bush. Le leggi federali non lo permettono. E’ per questo che la prigione di Gitmo sta ancora in piedi.

Insomma un bel colpo a sorpresa per l’amministrazione Obama, chiamata a mettere un po’ di pressione all’Iran, dopo il colpo messo a segno con Egitto, Hamas e Israele per il rilascio di Gilad Shalit. Per Eric Holder, un giorno senza doversi preoccupare troppo dello scandalo che rischia di fargli perdere il posto di ‘General’: l’operazione ‘Fast-and-Furious’ con la quale l’amministrazione americana infiltrava i cartelli della droga, seguendo il percorso delle armi del governo sul confine tra Usa e Messico.

L’operazione è andata avanti tra il 2009 e il 2010, fino a quando c’è scappato il morto: un Patrol Agent statunitense, Brian Terry è stato ucciso proprio da una di queste armi, che al Giugno di quest’anno, erano state messe in relazione a 179 scene di crimine sul territorio messicano.

Ieri Barack Obama è andato in conferenza stampa e interrogato sulla vicenda del complotto iraniano, ha dichiarato: "L’Iran pagherà". Vedremo manterrà la parola data.