Lo ‘scambio Shalit’ è soprattutto una sconfitta per l’Iran di Ahmadinejad
15 Ottobre 2011
Gli accordi per la scarcerazione del caporale Gilad Shalit sono stati resi possibili grazie all’influenza americana. Il 2 ottobre, prima della visita al Cairo del segretario americano alla Difesa, già alcuni funzionari statunitensi erano arrivati in Egitto, guidati da Prem G. Kumar (direttore presso la Casa Bianca del National Security Council for Israeli and Palestinian Affairs), con il compito di concludere le trattative per liberare il soldato israeliano detenuto da millenovecentotrentaquattro giorni.
Lo scopo del team è stato quello di preparare l’incontro, avvenuto durante il 3 e il 4 ottobre, tra il capo della difesa americana Leon Panetta e il capo di Hamas, Khaled Meshaal. Contemporaneamente il portavoce personale del primo ministro israeliano, David Meidan, incontrava Mohammed Jabry, comandante delle brigate Ezzedin al Qassam, per definire lo scambio di mille e ventisette prigionieri, tra cui duecentottanta assassini di massa, mantenuti da USA e UE per un solo uomo (perché "He who saves one soul, it is as though he saved an entire world" ha voluto ricordare il premier ebreo Netanyahu).
Ma non è stato Shalit l’unico motivo dell’incontro tra Hamas e Panetta. L’obiettivo degli Stati Uniti è quello di tagliare quel cordone ombelicale iraniano che nutre il Movimento di resistenza coranica palestinese e la fratellanza musulmana cairota, in netta ascesa di consensi in vista delle prossime elezioni egiziane. Da mesi Washington, supportata da Riyadh, intraprende fitti colloqui con alti esponenti dei Fratelli musulmani considerati dall’amministrazione Obama, una leva con cui controllare le sorti del futuro Egitto.
Infatti, l’influenza dei Fratelli musulmani è stata decisiva per fissare la deadline del rapimento di Shalit e il motivo potrebbe essere il fatto che Kaleed Meshaal abbia spostato l’ufficio del Politburo di Hamas dalla rovente Damasco al Cairo post-Mubarak. Mentre gli USA pensavano a incontrarsi con Israele per fissare le condizioni dello scambio, i Fratelli musulmani facevano pressioni sul leader dei terroristi palestinesi, Meshaal, ospitato in una lussuosa villa messa a disposizione dal potente generale Murad Mowafi, nuovo capo dell’intelligence egiziana ed ex governatore della regione del Sinai del Nord.
Se Meshaal continuerà a soggiornare in Egitto potrebbe iniziare a pensare di abbandonare il deus ex machina persiano a favore dei Fratelli musulmani, i ‘padri’ di Hamas, certamente influenti anche a Gaza e Ramallah. Il patto, tra l’Egitto dei Fratelli musulmani, Israele, Usa e Hamas, ha infatti tagliato fuori -oltre ad Abu Mazen- anche e soprattutto l’Iran che, secondo il sito Debkafile, avrebbe cercato di far saltare l’accordo per la liberazione del soldato Shalit e potrebbe ancora farlo; non a caso martedì sera, mentre Netanyahu confermava in tv la liberazione di Gilad Shalit, un razzo Qassam veniva lanciato dalla Striscia di Gaza contro un terreno non edificato nella zona israeliana di Hof Ashkelon.
Iran e Hezbollah, infatti, ancora mantengono una forte presenza di agenti infiltrati nella Striscia di Gaza in grado di spazzare via il capo politico di Hamas qualora si distanzi troppo dall’asse politico di Qom, preferendo, magari, guardare alle Piramidi: dove per continuare a uccidere ebrei arrivano ex-terroristi fuggiti dalle galere dell’ancièn regime e armi (come missili terra-aria da spalla) contrabbandate dalla Libia e dirette a Gaza tramite i tunnel utilizzati per il contrabbando con l’Egitto.