Per crescere l’Italia ha bisogno di ridurre il peso della tassazione diretta
09 Dicembre 2011
Il quadro macroeconomico e di finanza pubblica italiano sta peggiorando. Le ultime previsioni fornite dal MEF e dalle principali organizzazioni economiche internazionali (OCSE, FMI e Commissione Europea), all’unisono, hanno rivisto al ribasso la stima di crescita del PIL e, con essa, quella delle principali grandezze macroeconomiche, in particolare quella relativa al livello di occupazione. Stando a queste previsioni, il PIL nominale dovrebbe contrarsi del -0,4% nel 2012, per poi tornare a crescere moderatamente (+0,3%) dal 2013 in poi. I consumi nazionali dovrebbero contrarsi nel 2012 e nel 2013, come conseguenza del peggioramento del clima di fiducia delle famiglie e dell’aumento del tasso di disoccupazione, previsto in aumento all’8,4% nel 2012 e all’8,6% nel 2013.
Il deterioramento delle condizioni economiche del Belpaese ha conseguenze negative sui saldi di finanza pubblica. Il peggioramento della produzione e la riduzione del numero dei lavoratori occupati provoca effetti negativi sul gettito legato alle entrate tributarie (Irpef ed Ires) e sui contributi sociali. La riduzione del potere d’acquisto delle famiglie e la conseguente contrazione dei consumi provoca effetti detrimenti anche sul gettito delle imposte indirette, in particolare dell’IVA. Dal lato delle spese, invece, preoccupa l’incremento della componente interessi sul debito pubblico, come conseguenza dell’aumento del costo di emissione dei titoli di Stato legato all’aumento degli spread e del rischio paese. Gli interessi sul debito pubblico dovrebbero sfondare la soglia dei 100 miliardi di euro nel 2013.
Il valore del differenziale BTP-Bund si collocava attorno ai 180 punti base lo scorso Luglio. In Agosto, esso era salito fino a 400 punti base, salvo poi ridiscendere in seguito all’approvazione delle manovre estive. L’effetto manovra è stato però di breve durata, e in Settembre il valore si è attestato costantemente tra i 350 e i 400 punti base. Dopo l’annuncio delle dimissioni di Berlusconi, i timori legati all’incertezza politica hanno spinto lo spread al valore record di 576 punti base. Per tutto il mese di Dicembre il valore ha oscillato attorno alla soglia dei 500 punti base, fino a calare fin sotto i 400 punti base a seguito del perfezionarsi del decreto Salva-Italia di Monti. Anche questo effetto manovra sembra però essersi già esaurito. Nella giornata di ieri, il differenziale ha sfondato di nuovo la soglia dei 400 punti base, portandosi verso i 450. Sembra esserci quindi una costante nell’andamento dello spread: dopo ogni manovra, esso cala vistosamente, per poi tornare a crescere inesorabilmente qualche giorno dopo. Così è avvenuto per tutte le manovre effettuate, indipendentemente dal ministro che le ha presentate.
A seguito del peggioramento dell’andamento tendenziale, il governo, che si è obbligato nei confronti dell’Europa a mantenere il pareggio di bilancio entro il 2013, ha ritenuto di dover adottare una nuova manovra correttiva (la quinta nel giro di pochi mesi), il decreto Salva-Italia di cui in questi giorni si parla, pari a circa l’1,3% del PIL al 2014. Tale decreto, lo sappiamo, prevede un nuovo intervento nel settore previdenziale che, tra le altre cose, prevede il congelamento dell’indicizzazione delle pensioni nel 2012 e 2013, una revisione complessiva dei requisiti e dei criteri per l’accesso al pensionamento e un incremento dei contributi per i lavoratori autonomi. Dal lato delle entrate, viene prevista l’introduzione anticipata della nuova imposta municipale (IMU), l’aumento delle rendite catastali, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, maggiori accise (in particolare quelle sulla benzina), il prelievo sui "capitali-scudati" ed una forma di tassazione per i beni di lusso. A fronte di questi aumenti nel prelievo, viene consentita la deducibilità integrale dell’IRAP sul lavoro per le imprese che assumono, in particolare donne e giovani, e l’introduzione di un meccanismo di favore fiscale per le imprese denominato "ACE", al fine di contribuire ad un aumento della loro capitalizzazione. Infine, viene previsto un pacchetto di riforme "a costo zero", comprendenti misure di liberalizzazione per la vendita dei farmaci, per i trasporti e gli esercizi commerciali, nonché misure di snellimento di alcuni apparati, Autorità indipendenti e altri enti pubblici.
Questa manovra, dal lato del taglio delle spese e dell’aumento delle entrate, non si pone in discontinuità con le manovre precedenti di Tremonti, ma ne rappresenta una naturale prosecuzione. L’operazione di passaggio del sistema di tassazione dalle persone alle cose era già iniziata con il precedente ministro. L’aumento delle aliquote IVA rappresenta il miglior esempio. Abbiamo più volte detto che in tutti i paesi europei, giustamente, il carico fiscale è sempre più orientato alla tassazione indiretta che non a quella diretta, poiché quest’ultima ha effetti molto più distorsivi sulla crescita economica. Ma un incremento della tassazione indiretta può essere giustificabile solo se, parallelamente a questo aumento, vi è un contestuale abbassamento dell’Irpef e dell’Ires, in maniera che, a parità di gettito finale, la componente legata alla tassazione sul lavoro risulti essere più bassa. Questo problema, legato, tra le altre cose, ad una riduzione del numero di aliquote e all’eliminazione delle famose tax expenditures, che riducono fortemente la base imponibile, non è stato ancora risolto. Anziché tendere ad una riduzione del peso dello Stato nell’economia, la cui misura è identificabile nel rapporto spesa pubblica/PIL, lo Stato sembra essere sempre più invadente nelle tasche dei cittadini, se si pensa che il rapporto tra entrate totali e PIL è ormai vicino al 50%, vale a dire un euro di ricchezza prelevata per ogni due euro di ricchezza prodotta.
Per questi motivi, la strategia del consolidamento dei conti pubblici dal lato delle entrate dovrebbe essere abbandonata, per orientarsi esclusivamente su quella dal lato della spesa. La continua adozione di politiche fiscali restrittive non può aiutare l’Italia a crescere. Metaforicamente, è come se si pretendesse di curare un malato di anoressia con una cura dimagrante. Per poter crescere, l’Italia ha bisogno di ridurre il peso della tassazione diretta, parallelamente alla riduzione della spesa pubblica. Se così non farà, l’Italia rischia l’effetto avvitamento che sta vivendo la Grecia: più tasse, meno crescita, che richiede più tasse che provocano meno crescita, ad libitum. Fin quando il paese potrà sostenere questa situazione?