La Cina, campione di innovazione? Per favore, andiamoci piano
20 Agosto 2011
Difficilmente passa settimana senza che vi sia un titolo d’apertura che annunci come la Cina stia per raggiungere gli Usa e altre economie avanzate nel gioco dell’innovazione. Il deposito delle richieste di brevetti è in crescita, la Cina esporta prodotti ad alto contenuto tecnologico, l’Occidente è spacciato. Più o meno così continua la prosa. La realtà è molto diversa. E’ vero che la Cina sta facendo significativi sforzi sul fronte dell’innovazione. Però si dica anche che molti esperti sembrano confondere gli input con gli output.
Gli ‘input’ per l’innovazione sono impressionanti. La spesa della Cina in Ricerca&Sviluppo (R&S) è cresciuta dell’1,5% del Pil nel 2010, dall’1,1% speso nel 2002, e dovrebbe raggiungere 2,5% nel 2020. A livello mondiale, la quota parte cinese di investimenti in R&S è cresciuta fino a toccare il 12,3% nel 2010, dal 5% del 2002, piazzando la Cina al secondo posto, dietro solo agli Stati Uniti, i quali rimangono saldi al 34-35%. Secondo l’UNESCO, la Cina oggi impiega più persone in ricerca e tecnologia rispetto a qualsiasi altro paese. A prima vista, anche i dati sugli ‘output’ sono impressionanti. Secondo la World Intellectual Property Organization, investitori cinesi hanno presentato 203.481 candidature per brevetti nel 2008. Questo fa della Cina il terzo paese più innovatore dopo il Giappone (502.054 brevetti), e gli Stati Uniti (400.769). E’ necessario però analizzare il dato più da vicino. Circa il 95% delle candidature cinesi per brevetti sono state presentate a livello nazionale presso lo ‘State Intellectual Property Office cinese’, l’ufficio nazionale cinese per la proprietà intellettuale.
La stragrande maggioranza di tali ricadono sotto la dicitura "innovazione" cinese, benché si tratti solo di micro alterazioni di progetti già esistenti. In tanti altri casi, un cinese "brevetta" un’invenzione estera in Cina con l’obiettivo ultimo di fare causa per contraffazione all’investitore estero dentro al sistema legale cinese il quale non riconosce appunto i brevetti rilasciati all’estero. Una buona misura per capire il fenomeno dei brevetti cinesi è invece guardare a quelle innovazioni che sono riconosciute fuori dalla Cina, analizzare per l’appunto il rilascio di brevetti e di concessioni che sono attrbuiti a invenzioni di fattura cinese nei più importanti uffici mondiali per il rilascio dei brevetti: quelli statunitensi, quelli dell’UE e quelli del Giappone. Se si guarda invece a questo paesaggio, la Cina è allora molto indietro agli altri. La prova più lampante è la conta "triadica" del deposito di brevetti o di concessione, ovvero quando una richiesta di brevetto venga depositata presso tutti e tre questi uffici, e infine addirittura concesso da tutti e tre per la stessa invenzione.
Secondo i dati resi pubblici a riguardo dalla OECD, nel 2008, l’anno più recente di cui siano disponibili i dati, ci sono stati solo 473 candidature "triadiche" di brevetti da parte della Cina, contro le 14.399 degli Stati Uniti e le 14.525 dell’Europa e le 13.446 da parte del Giappone. Se si guarda alla concessione di brevetti su base degli uffici singoli, la fotografia che ne emerge è sostanzialmente identica. Detta in modo chiaro, nel 2010, la Cina ha pesato per il 20% della popolazione mondiale, per il 9% del Pil mondiale, per il 12% di spesa in R&S, ma solo per l’1% nel mercato della presentazione di domanda di brevetti o per brevetti concessi dai maggiori uffici di brevetti al di fuori dalla Cina. Si tenga conto anche del fatto che la metà dei brevetti di origine cinese, sono stati concessi a sussidiarie di multinazionali straniere. Perchè allora esiste un così rilevante divario tra input e output?
In parte è una questione di tempo. L’innovazione ha bisogno non solo di nuovi sforzi, ma soprattutto di un ricco stock di conoscenza pregressa. In qualità di nuovi attori sulla frontiera tecnologica, le organizzazioni cinesi avranno bisogno di vari anni per creare i necessario stock di conoscenze. Ma anche altri fattori sono all’opera. Si tenga conto per esempio che i processi di allocamento dei fondi pubblici per progetti di R&S rimangono altamente politicizzati e inefficienti. I politici hanno una forte propensione a far finanziare megaprogetti sostenuti da singoli ministeri e a concedere sovvenzioni in R&S su basi di contiguità politica e di connessioni interpersonali piuttosto che su una revisione scientifica tra pari.
Come hanno fatto messo in luce in un editoriale apparso sulla rivista ‘Science’ Yigong Shi e Yi Rao, rispettivamente presidi presso le facoltà di bioscienze delle università di Tsinghua e di Pechino, per sovvenzioni che vanno da decine a centinaia di milioni di yuan, "è il secreto di pulcinella che fare buona ricerca non è tanto importante quanto lo è invece intrallazzare con burocrati e i loro esperti preferiti. … L’attuale cultura della ricerca in Cina, … spreca risorse, corrompe lo spirito, e impedisce l’innovazione". La cultura della ricerca in Cina, insomma, soffre pesantemente di un propensione a privilieggiare la quantità sulla qualità della ricerca, e patisce l’uso di standar locali piuttosto che di quelli internazionali per la valutazione e la premiazione della produttivita nei progetti di ricerca. Il risultato è una pandemia non solo di incrementalismo, ma anche di disonestà accademica. Uno studio effettuato nel 2009 dalla China Association for Science and Technology ha riportato che circa la metà dei 30.078 intervistati era a conoscenza di almeno un collega che avesse commesso frode accademica.
Una cultura del genere inibisce la ricerca seria e spreca risorse. Anche il sistema educativo cinese è un’altra grande sfida perché favorisce il sapere mnemonico a scapito di un approccio creativo al problem solving, la soluzione ai problemi. Quando Microsoft aprì a Pechini il suo secondo più grande laboratorio di ricerca (dopo quello di Redmond, nello Stato di Washington), realizzò in fretta che, benché i laureati che assumesse fossero brillanti, essi erano anche molto passivi nel’approccio alla ricerca. I direttori della ricerca Microsoft di Pechino allora cercarono di aggredire il problema chiedendo a ogni nuovo assunto di presentare un progetto sul quale avessero voglia di lavorare. L’approccio Microsoft è più l’eccezione che la regola all’interno dei laboratori di R&S in Cina, i quali tendono invece a essere piuttosto di basso livello. Certo, la Cina si fa strada sempre più rapidamente in alcuni campi come le tecnologie e le telecomunicazioni. Ma rimane vero che, in linea di massima, la Cina ha ancora un bel po’ di strada da fare prima di diventare potenza globale dell’innovazione.
Tratto dal Wall Street Journal Asia
Traduzione di Edoardo Ferrazzani