Se la Bce non farà il suo lavoro in Europa la storia potrebbe ripetersi

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Se la Bce non farà il suo lavoro in Europa la storia potrebbe ripetersi

13 Dicembre 2011

Pubblichiamo un passo dell’articolo "There could be trouble ahead" apparso sull’ultimo numero del settimanale britannico The Economist.

L’importanza della politica monetaria negli anni 1930 potrebbe suggerire che le banche centrali siano in grado di compensare gli effetti di tagli fiscali. Nel 2010 il FMI scrisse che la politica espansiva della Gran Bretagna avrebbe potuto mitigare l’impatto contrattivo dei grandi tagli di spesa pubblica e “creare le condizioni per una più sostenibile ripresa”. Ciononostante la Gran Bretagna è di nuovo vicina alla recessione e la disoccupazione sta crescendo, un fatto che suggerisce quanto limitate siano le mosse che la banca centrale possa giocare.

La mossa dell’austerità è certamente più drammatica nella zona euro – la quale può ancor meno permettersi certe soluzioni. In assenza di una moneta fluttuante o di un prestatore di ultima istanza, l’attuale situazione porta con sé degli echi dolorosi di quello che è stato il mondo del gold-standard dell’inizio degli 1930. A metà degli anni ’20 dello scorso secolo – dopo che l’insostenibile tabella di marcia delle riparazioni di guerra fu rivista – i creditori francesi e americani, sedotti dalle possibilità di rapida crescita nella distrutta economia della Germania, entrarono in massa nel mercato tedesco. Questo massiccio flusso di capitali permise alla Germania di far fronte agli obblighi discendenti dalla riparazioni di guerra, permettendo anche un innalzamento dei salari. La Germania subì di fatto un boom creditizio non dissimile dal quelli a cui si è assistito nella periferia d’Europa cinque o sei anni fa.

Tra il 1928 e il 1929 la festa finì e i capitali finirono per tornare da dove erano venuti. In prima battuta, gli investitori fecero far ritorno ai propri capitali in America per scommettere sui propri mercati in fibrillazione. Per difendere le sue riserve d’oro, la Reichbank tedesca fu costretta ad aumentare i propri tassi d’interesse. Improvvisamente privata dei capitali stranieri e non più in condizione di fare affidamento sulle esportazioni per la crescita e alla luce dell’aumento dei salari che il precedente boom aveva generato, la Germania finì nella morsa dell’austerità per far fronte ai propri obblighi, come l’Irlanda, il Portogallo, la Grecia e la Spagna hanno fatto negli ultimi tempi.

Un paese con una cambio della propria valuta fluttuante, verrebbe nella fuga di capitali un motivo di buon augurio: il tasso di cambio cadrebbe, lanciando il boom delle esportazioni. Ma il tasso di cambio della Germania era legato al gold-standard. La competitività poteva essere restituita con un lento declino dei salari, benché la disoccupazione stesse aumentando. Con l’aumentare dell’avvitamento, anche le banche finirono sotto pressione. L’economia austriaca fu messa innanzi a difficoltà simili a quelle della Germania, e nel 1931 il fallimento di una delle sue più grandi banche, il Credit Anstalt, scatenò una perdita di fiducia nel settore bancario che in fretta si diffuse al resto d’Europa. Con l’aumentare della pressione in Germania, i leader delle economie più grandi si incontrarono a più riprese per discutere sulla possibilità di un’assistenza per un’economia in difficoltà. In quell’occasione in particolare i francesi, decisero di non allentare la morsa delle riparazioni di guerra sulla Germania.

Riconoscendo il fatto che l’assenza di un prestatore di ultima istanza stesse alimentando il panico, il governatore della Banca d’Inghilterra, Montagu Norman, propose la creazione di un prestatore internazionale. Egli stesso raccomandò la creazione di un fondo, capitalizzato con 250 milioni di dollari, da rimpinzare con altri 750 milioni di dollari e con il potere di prestare ai governi e alle banche in bisogno di capitali. Il piano, comunque inadeguato, non andò da nessuna parte perché la Francia e l’America, detentori dell’oro di cui avevano bisogno per la propria leva finanziaria, non sposarono l’idea. Fu in questo modo che la prima tessera del domino cadde. Dopo soli due mesi dalla bancarotta del Credit Anstalt, un’altra grande banca tedesca, la Danatbank, fallì. Il governo tedesco fu costretto allora a introdurre controlli di capitale e sospese i pagamenti in oro, "sbottonando" la propria valuta. L’economia della Germania andò al collasso e gli orrori degli anni ’30 del secolo scorso presero corpo.

E’ uno scenario terribilmente familiare (benché nessun paese europeo appaia oggi in procinto di eleggere Adolf Hitler). L’adesione alla zona euro, così come l’adesione al sistema del gold-standard, significa che i paesi meno competitivi non possono svalutare le loro valute per ridurre il deficit nella bilancia commerciale. L’austerità fa entrare in un circolo vizioso di declino – contrae la domanda interna e alza la disoccupazione, e così facendo infligge un duro colpo al gettito, mantenendo alto il deficit e colpendo la fiducia nelle banche e sul debito sovrano. Mentre i residenti dei paesi periferici muovono i propri denari verso il centro in banche più sicure, l’offerta di moneta declina, esattamente come accadde negli anni ’30.

Gli incontri al più alto livello con le nazioni di creditori non riescono ad apportare soluzioni ai problemi correnti. Non esiste un prestatore di ultima istanza. Benché lo European Financial Stability Facility (EFSF) non abbia avuto più fortuna di quanto non ne avesse avuto il piano Norman, a cui assomiglia in modo agghiacciante, i leader dell’euro zona dovranno comunque trovare una soluzione per trovare una leva finanziaria che porti i suoi 440 miliardi di dollari alla cifra di 2 trilioni di dollari. Anche se riuscissero, potrebbe non bastare per mettere fine al panico. Gli investitori, guidati dalle turbolenza dei mercati italiani, stanno preventivamente riducendo le proprie esposizioni nei confronti delle banche e in titoli di debito sovrano nel resto dell’euro zona. Anche paesi con economie robuste come Francia e Paesi Bassi non sono stati risparmiati. Per quanto sicura appaia la posizione d’economia fiscale di questo o quel paese, una crisi creditizia di breve periodo mossa dal panico può condurre all’insolvenza.

La storia non deve però ripetersi. La Banca d’Inghilterra di Norman fu creata nel XVII sec. per prestare al governo quando in necessità; le banche centrali sono sempre state obbligate a prestare ai governi quando altri non vogliono. La BCE potrebbe assumere questo ruolo. E’ proibito dal suo statuto dall’acquisto di debito direttamente dai governi, ma può acquistare titoli di debito sul mercato secondario. Si è trattato però d’interventi alla spicciolata e potrebbe dichiarare la propria intenzione a farlo sistematicamente. Il suo potere di stampare un illimitato ammontare di denaro consentirebbe di annunciare con credibilità la propria volontà di comprare su ogni mercato di titoli voglia vendere, così rimuovendo la causa stessa del panico e del contagio. Questa settimana la Francia e la Germania hanno proposto l’adozione di regole di bilancio legalmente obbliganti, le “golden rules” dei membri dell’eurozona, prima del summit dei leader europei a Bruxelles lo scorso 8 e 9 Dicembre.

Mario Draghi, il neo-presidente della Bce, ha lasciato intendere che se vi sarà un patto fiscale sul quale decidere, la Bce potrebbe acquistare dei titoli su larga scala. A quale ‘scala’ facesse riferimento, comunque, non si sa. Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank tedesca e un membro influente della consiglio dei governatori della Bce, ha chiaramente affermato che la Bce “non deve essere” il prestatore di ultima istanza dell’eurozona.

La direzione verso cui andiamo

Al punto in cui siamo a questo punto, le condizioni nelle economie sviluppate peggioreranno prima di migliorare. La crescita in America e in Gran Bretagna sarà probabilmente meno del 2% nel 2012 a politiche invariate e che entrambe le economie in questione entrino in recessione è piuttosto probabile. Una recessione nell’euro-zona è a sua volta molto probabile. La Bce potrebbe migliorare le prospettive di crescita del continente allentando la propria politica monetaria, ma diffuse politiche di austerità e incertezza saranno difficili da arginare. Come accadde nel 1931, anche il 2008 sarà contraddistinto da una fortissima crisi finanziaria che potrebbe causare una drastica caduta della produzione. Ciò, di ritorno, potrebbe imprimere ancora più pressione sulle economie della euro-zona che stanno tentando di evitare il default.

Come quando nel 1931 il panico cresceva, ogni paese dovrà fare i conti con la fuga di capitali. I tentativi di impedirsi contro la fuga delle banche e della valute causò cicli di austerità e cadute a picco dell’offerta di denaro in economie sotto pressione, creando le condizioni per il generarsi di un collasso della produzione e disoccupazione che di fatto trasformò una crisi ostica in una vera e propria Depressione. C’è voluto la fine del gold-standard, che lasciò libere le banche centrali di espandere l’offerta di moneta e reflazionare le proprie economie (ndt. moderata nuova inflazione successiva alla deflazione, e resa necessaria o dall’avere spinto la deflazione stessa troppo oltre, o da una ripresa dell’attività economica che richieda una maggiore quantità di medio circolante) per innescare la ripresa. La Bce che esiste oggi ha tutti gli strumenti per salvare la situazione senza distruggere l’euro. Ma il solo fatto che la Bce e i governi dell’euro-zona abbiano la scelta, non vuol dire che le assumano.

Il collasso del gold-standard portò alla ripresa economica, ma causò molti e terribili danni economici quando i paesi eressero barriere commerciali per arginare il flusso di beni d’importazione da parte di coloro che avevano svalutato la propria moneta. I governi chye furono eletti per combattere la disoccupazione finirono per sperimentare il controllo dei salari e dei prezzi, la creazione di cartelli nell’industria e altre forme di interventi che spesso impedirono la ripresa attivato da politiche monetarie e fiscali espansionistiche. Nei paesi più duramente colpiti, cittadini costretti a soffrire molto si rivolsero al fascismo in una falsa speranza di cura.

Oggi il mondo è più preparato per fare i conti con un eventuale disastro rispetto a quanto non lo fosse negli anni ’30 dello scorso secolo. All’epoca, le più grandi economie si muovevano dentro un sistema di gold standard. Oggi, l’euro zona rappresenta meno del 15% del prodotto mondiale. Nei paesi sviluppati la disoccupazione – piaccia o meno – non porta alla destituzione come accadde negli anni ’30 del secolo passato. All’epoca, il mondo non aveva un leader globale; oggi, l’America è ancora in condizione di co-ordinare di fronte alle difficoltà un’azione di risposta a un eventuale disastro del genere. Le istituzioni internazionali sono molto più forti, e la democrazia è più radicata.

Anche a queste condizioni, una prolungata debolezza economica spinge alcuni a ripensare in profondità i valori del capitalismo liberale. Paesi alle prese con domanda scarsa intervengono ora sui mercati valutari – gli svizzeri sono arci stufi di vedere la propria moneta in costante apprezzamento rispetto all’euro. Il senato statunitense ha cercato di punire la Cina per la sua manipolazione monetaria sulle tariffe. All’interno dell’Europa la crisi dell’euro sta incoraggiando disgustosi nazionalisti, alcuni dei quali razzisti. Il loro estremismo è tenero se comparato agli orrori distruttivi del nazismo sul Continente, ma non per questo benvenuti.

La situazione non è ancora irrecuperabile. Ma l’opera che si deve mettere in campo per mettere le cose a posto cresce ogni giorno che passa. Le lezioni degli anni ’30 hanno risparmiato al mondo molte sofferenze dopo lo shock della crisi finanziaria del 2008. Non è troppo tardi per richiamare altre lezioni fondamentali da trarre dalla Depressione. Se verranno ignorate, la storia potrebbe tranquillamente ripetere se stessa.

Tratto dal settimanale britannico The Economist