Credeva di essere un dio e invece Mladic è solo un assassino

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Credeva di essere un dio e invece Mladic è solo un assassino

27 Maggio 2011

Sulla sua testa c’era una taglia di 10 milioni di euro messa dalla Serbia. Gli Stati Uniti avrebbero pagato 5 milioni di dollari. Soldi che nessuno potrà più riscuotere perché, dopo 15 anni di latitanza, Ratko Mladic è stato arrestato. Su di lui  pesano le accuse di genocidio, di crimini contro l’umanità e di crimini di guerra nell’assedio di Sarajevo, durato 43 mesi e nel massacro di Srebrenica del 1995, formulate dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia.

Fu anche grazie a questo militare, ritenuto nella Jugoslavia di Tito particolarmente brillante e capace, e divenuto in seguito capo di Stato Maggiore dell’esercito della Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina, che l’Europa assistette a orrori mai visti dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Il suo mancato arresto nel corso di questi anni, fonte di imbarazzo per l’intera comunità internazionale, era considerato uno dei principali ostacoli per l’adesione della Serbia all’Unione europea. La sua cattura giunge quasi tre anni dopo l’arresto del responsabile politico di questi massacri, il leader serbo-bosniaco Radovan Karadzic. Per le loro azioni l’Europa riscoprì il termine «pulizia etnica».

Mladic, nato il 12 marzo del 1942 a Kalinovik, nell’allora Stato indipendente di Croazia, apparteneva a una famiglia di partigiani comunisti iugoslavi. La violenza entra presto a far parte della sua vita. Il padre morì nel 1945 combattendo contro gli ustascia, i fascisti croati. Entrato nell’esercito della Jugoslavia comunista, studiò alla prestigiosa Accademia Militare di Belgrado e iniziò la carriera militare. Poi arriva la disgregazione dello stato. Nel 1991, dopo la caduta del muro di Berlino e la fine dei comunismi europei, Mladic era già generale.

Intanto i rigurgiti nazionalisti iniziano a strozzare la Jugoslavia federale. La creatura di Tito non può più reggere. Il dittatore aveva riunito popoli e regioni diverse, con una prevalenza di poteri affidati ai serbi, ostili alle indipendenze degli altri gruppi etnici e delle regioni in cui vivevano a loro volta grosse comunità di serbi, come la Bosnia, a maggioranza musulmana. I serbo-bosniaci di religione ortodossa avevano disertato il referendum che decretò l’indipendenza della Bosnia e il loro capo politico, Karadzic, proclamò la nascita di una diversa entità statale, la Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina. Karadzic nominò Mladic comandante del Secondo Distretto Militare dell’esercito jugoslavo, che sarebbe diventato l’esercito serbo-bosniaco nel più sanguinoso dei conflitti balcanici, appoggiato dalla Serbia indipendente che sosteneva di voler difendere la minoranza serba in Bosnia.

Ossessionato dalla storia nazionale, per Mladic la guerra bosniaca è lo strumento per  vendicarsi di Cinque secoli di dominio turco-ottomano in Serbia. Chiamava i bosniaci musulmani “turchi” come insulto. Era famoso per la ferocia, per il grandissimo seguito che aveva presso i suoi uomini e per la sua arroganza. Si racconta che una volta, chiedendo al controllo aereo di creargli lo spazio per atterrare con il suo elicottero, disse: «Qui parla Ratko Mladic, il dio serbo». Le storie sul suo conto si sprecano. Durante i bombardamenti delle città bosniache non si preoccupava di parlare in codice quando ordinava i comandi via radio in tono violento e sprezzante. Nel 1995 comandò le truppe serbe nel massacro di Srebrenica, dove vennero uccisi migliaia di musulmani.

Per questa barbarie, il tribunale delle Nazioni Unite per i crimini di guerra in Jugoslavia lo ha incriminato per genocidio insieme a Karadzic. È accusato anche di numerosi altri crimini contro l’umanità, tra cui aver usato peacekeeper come ostaggi, distruzione di luoghi sacri, torture sui civili e saccheggi. Mladic fu sollevato dal suo incarico nel dicembre 1996 da Biljana Plavsic, allora presidente della repubblica serbo-bosniaca. A sua volta, Plavsic è stato condannato nel 2003 a undici anni per crimini di guerra. Quando licenziò Mladic e tutto il suo gruppo di consiglieri e collaboratori, Plavsic intendeva tagliare i collegamenti con il presidente serbo Slobodan Milosevic, principale protettore dei serbo-bosniaci e molto vicino a Mladic, morto nel 2006 durante il processo per genocidio all’Aja. Quando Milosevic firmò gli accordi di Dayton, che misero fine alla guerra alla fine del 1995, sia Karadzic che Mladic lo considerarono una ritirata.

Sollevato dal comando militare, Mladic riuscì a sfuggire all’arresto e si diede alla latitanza. Nel primo periodo si rifugiò a Han Pijesak, un complesso militare nelle foreste della Bosnia orientale costruito per Tito. Insieme a sua moglie e protetto da diverse guardie armate che gli erano rimaste fedeli, si dedicò all’apicoltura e all’allevamento di una ventina di capre, che si dice avessero i nomi dei diplomatici stranieri che disprezzava, come Madeleine Albright, allora segretario di stato americano.

Alla fine degli anni Novanta, Mladic dovette abbandonare la Bosnia e si trasferì con guardie e famiglia in una elegante villa alla periferia della capitale serba Belgrado. Qui comparve in pubblico in diverse occasioni, nonostante il mandato di cattura delle Nazioni Unite. Al matrimonio del figlio, alle partite di calcio, in ristoranti e locali alla moda. Non concedeva interviste ma di tanto in tanto si lasciava fotografare, sorridendo all’obiettivo.

Nell’ottobre del 2000 il presidente serbo Milosevic, che gli garantiva la possibilità di una latitanza così poco discreta, rassegnò le dimissioni. Il nuovo governo non si dimostrò disposto a consegnare Mladic malgrado le pressioni della internazionali. Lui si fece ancora vedere in giro, qualche volta senza neppure le guardie del corpo, ma nel 2002 scomparve. Circolarono voci che lo volevano ritornato in Bosnia e altre invece che lo dicevano in fin di vita a Belgrado. Il nuovo presidente Tadic è stato protagonista di un braccio di ferro con le componenti più nazionaliste dei servizi segreti e delle istituzioni, culminata  non a caso in un periodo di scadenze di inchieste internazionali nell’arresto di oggi.