“Se i Repubblicani non si accordano Obama vincerà nonostante tutto”

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“Se i Repubblicani non si accordano Obama vincerà nonostante tutto”

18 Ottobre 2011

I repubblicani sembrano ogni giorno più divisi nelle due rispettive anime: da un lato i social conservatori dell’attuale governatore del Texas, Rick Perry, e dall’altro l’establishment repubblicano, che ha ormai trovato in Mitt Romeny il suo più fidato rappresentante. “Se le due parti non troveranno un compromesso rischiano di dare spazio all’ascesa di un candidato indipendente e favorire indirettamente la vittoria di Obama”, dice in una conversazione con l’Occidentale Christopher Caldwell, direttore del Weekly Standard.

“Basta fare due conti – continua il senior editor – e prendere in considerazione il nuovo sistema proporzionale che ormai quasi tutti gli stati hanno imposto e che distribuisce a ogni candidato i delegati in modo proporzionale ai voti ottenuti”. Durante le scorse elezioni, al contrario, vigeva una sola semplice direttiva: il vincitore prendeva tutti i delegati, il perdente nessuno. Poi, nelle ultime primarie della Florida il candidato con il maggior numero di delegati in mano assumeva automaticamente il diritto alla nomination repubblicana. Quest’anno non sarà così semplice: alle primarie in Florida – causa il proporzionale – potrebbe non emergere un chiaro vincitore nella fila dei repubblicani. I preamboli di questo scenario sono già visibili. In poche occasioni come adesso, infatti, il partito repubblicano è apparso così diviso – nei sondaggi, seppur altalenanti, Rick Perry e Mitt Romney continuano a ottenere un vicino testa a testa.

A dividerli però non sono soltanto i temi del dibattito: Romney, come ha sottolineato l’ottima rivista Slate, sembra sempre più parlare come un liberale, mentre Perry sembra incaponirsi sui temi del classico conservatorismo-religioso (anche Bush che era del Texas manteneva comunque un’impostazione di stampo laico). Se sul dibattito politico la linea solca nel mezzo il campo repubblicano con precisione quasi geometrica, anche i principali finanziatori non sono esclusi dalla malattia della divisione. La settima scorsa, ha svelato Politico.com, è esplosa una disputa tra i fratelli Koch, storici finanziatori del partito repubblicano, e Karl Rove, guru della strategia politica repubblicana ed ex capo del personale di George W. Bush.

Durante le presidenziali del 2008 i due avevano collaborato per creare una rete di finanziamenti invidiabile a vantaggio del partito repubblicano. Ora sembrano divorati da un braccio di ferro politico che ha messo a rischio questo potente network. Durante il dibattito sull’innalzamento del tetto del debito dello scorso luglio, il gruppo legato a Karl Rove ha sostenuto con decisione l’innalzamento del limite, mentre i fratelli Koch, attraverso American’s for prosperity, il centro studi da loro finanziato, si è decisamente opposto. Le divisioni di allora sono, in larga parte, traducibili adesso nei due frontrunner alla corsa repubblicana: il network riconducibile ai fratelli Koch è più vicino a Perry mentre Rove è più vicino a Romney.

Parlando con l’Occidentale Caldwell ha aggiunto che “è importante capire che il partito repubblicano di oggi è un partito repubblicano in transizione perché da una parte c’è il Tea party che non ha ancora sviluppato una vera e propria ideologia – è cominciato come gruppo di opposizione agli aiuti statali alle banche, per poi diventare il partito di una confusa e generalista narrativa anti Washington – dall’altra parte, invece, c’è Romney che nei dibattiti non è ancora riuscito a costruirsi un’ identità politica forte fuori dall’ombra di McCain”. Come accade durante tutte le elezioni americane, all’inizio delle primarie gli attivisti politici che fanno più rumore sono quelli più “estremizzati” (questo non succede soltanto per i repubblicani ma anche per i democratici), ma avvicinandosi alle presidenziali i centristi, solitamente più propensi a votare repubblicano e al momento ancora assopiti dalla lontananza del voto, potrebbero essere scontenti di entrambi i candidati.

Secondo Caldwell “i nomi da tenere in considerazione sono due: Bob McDonald, il rispettatissimo Ad della Procter & Gamble, gigante americano dei beni di consumo; Mitch Daniels, attuale governatore dell’Indiana e noto per aver riportato sotto controllo il budget del suo stato; e infine Tom Ridge, ex segretario di Bush e veterano bipartisan con una lunghissima esperienza a Washington, adesso tornato a lavorare nel settore privato”. Il direttore del Weekly Standard è ovviamente realistico, nessuno di questi candidati potrà vincere una grande percentuale dei voto, ma il rischio che ne sottraggano un numero sufficientemente grande finendo per avvantaggio Obama, in un momento dove l’elettorato è diviso quasi a metà e i repubblicani sono frammentati come poche altre volte, è da non sottovalutare.