“La liberazione di Shalit dice quanto la cultura della vita conti in Israele”

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“La liberazione di Shalit dice quanto la cultura della vita conti in Israele”

18 Ottobre 2011

Il Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, ha negli ultimi anni fatto molto per la sorte del soldato Gilad Shalit. Ha sensibilizzato, portato la questione all’attenzione di Gianni Alemanno, il sindaco di Roma, mobilitato nei limiti del possibile la comunità ebraica romana. Quando pensa al momento in cui gli è stato comunicato l’avvenuto accordo per il rilascio di Gilad Shalit, Pacifici ricorda: "Mi sono commosso, e poi sono stato colto da un sentimento di orgoglio per tutto ciò che la città di Roma ha fatto per sensibilizzare sul destino di Shalit". Oggi è il giorno del rilascio del soldato israeliano. Sarà consegnato alla Croce Rossa di Gaza, la quale lo porterà alla Croce Rossa egiziana, e da lì verrà condotto su suolo israeliano.

Dopo quasi duemila giorni di prigionia, questo giovane uomo potrà riabbracciare la propria famiglia e ritrovare l’affetto perduto. Il suo rilascio giunge a caro prezzo, però. Più di mille terroristi palestinesi giudicati da tribunali israeliani, in cambio di un solo soldato israeliano. "Per Israele è comunque una vittoria. E’ la prima volta che un soldato israeliano rapito, viene reso vivo", dice Pacifici a l’Occidentale. E su Hamas, Pacifici non va per il sottile: "Hamas ha dimostrato di proporre delle logiche di scambio peggiori a quelle dei nazisti. I nazisti dicevano ‘per ogni soldato tedesco morto, dieci italiani uccisi’. Hamas ne vuole mille per ogni israeliano".

Oggi è il giorno delle operazioni di scambio e del ritorno di Gilad Shalit tra le braccia dei suoi cari. Cosa ha pensato quando ha appreso la notizia dell’avvenuto accordo per il suo rilascio? 

Quando mi è stata data la notizia, sono stato colto da una profonda commozione. Avevo incominciato a perdere la speranza sulla possibilità che la vicenda si risolvesse positivamente. Poi sono stato avvolto da un sentimento di sollievo. Mi sono sentito orgoglioso di essere cittadino di Roma, visto che la nostra città ha conferito proprio a Gilad Shalit, durante la sua prigionia, la cittadinanza onoraria. Sono fiero che tutto il consiglio comunale di Roma abbia votato quella onorificenza a suo tempo. Sono felice che il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, si sia recato nella tenda della famiglia Shalit, allestita un anno fa vicino al palazzo del governo israeliano dai genitori del soldato rapito da Hamas, per portargli la solidarietà del popolo romano. Tutta Roma deve essere orgogliosa. Sono segnali di grande civiltà che nelle ore della liberazione del soldato israeliano meritano di essere ricordati.

Nel merito, come giudica l’accordo?

Credo che sia molto difficile esprimere un giudizio sulla natura dello scambio che a fronte della liberazione di un soldato israeliano, rimette in libertà 1000 e più terroristi palestinesi condannati per crimini tra i più efferati. Ovviamente da una parte c’è la legittima rabbia delle famiglie delle vittime, giustamente sconcertati per la liberazione di assassini di quel calibro. La loro è una rabbia comprensibile. Dall’altra c’è un giovane soldato che viene restituito vivo alla sua famiglia, dopo una negoziazione fatta da un governo, quello israeliano, non certo liberal o progressista, ma conservatore. E’ la dimostrazione che nella storia di Israele spesso non sono i pacifisti di professione a ottenere certi risultati, ma che è gente che conosce la durezza della guerra a ottenere certi risultati.

Insomma non è univoco il suo giudizio?

L’accordo per il rilascio di Shalit ha due volti: da un lato c’è la rabbia legittima dei familiari delle vittime scomparse per mano dei terroristi che verranno rilasciati, e dall’altra c’è la gioia della famiglia Shalit, a cui partecipiamo tutti, per la liberazione del loro figlio, strappato ai suoi anni migliori dopo più di quattro lunghi anni di inumana prigionia.

Avete in programma qualche manifestazione per celebrare la liberazione di Shalit?

Saremo in Campidoglio, a Roma, dov’è appesa la foto di Gilad Shalit, fortunatamente per rimuoverla dal balcone del palazzo. Personalmente – e le do un’esclusiva – strapperò dal mio polso un braccialetto giallo che avevo indossato ormai anni fa, e che mi ero ripromesso di togliermi quando tutto sarebbe finito. Quando Shalit sarebbe tornato libero.

Cerchiamo di capire qual è il messaggio che sta dietro all’accordo voluto dal governo Netanyahu?  Che messaggio viene inviato al popolo israeliano?

Si inizi col dire che per la prima volta nella storia di Israele un prigioniero viene restituito vivo. Si pensi solo alla restituzione da parte del Libano dei “resti” dei due soldati israeliani, Ehud Goldwasser e Eldad Regev, che furono restituiti a Israele in cambio di cinque terroristi, quattro di Hezbollah e uno palestinese-libanese. Di per sé lo ‘scambio Shalit’ invia il seguente messaggio, ovvero che “Israele non lascia indietro nessuno dei suoi figli”. Secondo messaggio è che “Israele tiene alla vita”, che la vita è un valore più alto di qualsiasi altro. Non facciamo altro che ribadire –  e ci capita spesso in occasione delle Giornate della Memoria, ricordando il passo del Talmud – che “Chi salva una vita, salva il mondo intero”. Ecco, con lo scambio Shalit, Israele ha inviato questo messaggio. Ma anche un modo per mandare un segnale a ogni soldato israeliano in divisa, un messaggio per il morale delle truppe: “Israele vi viene a riprendere, costi quel che costi”. Dobbiamo essere fieri dell’ideologia della vita che Israele difende.

Rimane il fatto che il rapporto ‘uno a mille’ è di per sè carico di conseguenze. Non è un caso che anche dentro al governo israeliano ci sia stata un’opposizione all’accordo per il rilascio di Shalit…

Hamas ha dimostrato di proporre delle logiche peggiori a quelle naziste. Si ricorderanno le leggi degli occupanti nazisti in Italia durante la seconda guerra mondiale: “Per ogni soldato nazista tedesco morto, dieci italiani uccisi”. I nazisti propugnavano il rapporto ‘uno a dieci’. Hamas cerca un rapporto ‘uno a mille’. Ciononostante, Israele dialoga con il nemico, cerca il canale, non ne nega l’esistenza dei palestinesi, come invece viene insegnato ai giovani di Gaza o della Cisgiordania. Non è solo la cultura della vita a differenziare il governo israeliano da quelli dei palestinesi. è anche e soprattutto la nostra perseveranza a non negare l’esistenza del popolo palestinese, come invece avviene in ogni scuola di Gaza e della Cisgiordania, ove viene propugnata la cultura della ‘Shahīd’, del martire; dove viene insegnato l’odio; dove si rappresenta la Palestina come uno Stato che va dal Mar Rosso alla Galilea senza che vi sia la men che minima menzione dell’esistenza di Israele.

Un’ultima domanda sui cambiamenti nella politica mediorientale. Come giudica l’evolvere del contesto regionale alla luce delle rivolte arabe?

Mi sembra che sia ormai chiaro che il termine ‘primavera araba’ debba essere depennato. Un uso improprio di un’espressione che per giunta fa venir meno il significato dell’espressione, soprattutto per coloro che fortunatamente hanno potuto giovarsi dei vantaggi che le ‘primavere’ politiche hanno apportato in termini di libertà democratiche. Quello che invece sta accadendo nei paesi arabi, è che gli islamisti stanno emergendo come forze politiche maggiori nei regimi post-dittatoriali della regione nord-africana e mediorientale. Dall’Egitto della Fratellanza Musulmana, alla Libia post – Gheddafi, alla Tunisia ove gli islamisti prendono sempre più il centro del palco. Insomma, siamo chiaramente ‘all’inverno arabo’. Non ci deve stupire. Quando Hamas – un movimento islamista – prese il potere a Gaza contro Fatah, i cristiani vennero immediatamente perseguitati. Di chiese cristiane a Gaza oggi non ce ne sono più. Donne cristiane furono violentate. Si pensi ai copti in Egitto in questi giorni. Insomma non c’è da stare allegri.