Siria, l’Onu condanna ma il regime continua a uccidere
19 Agosto 2011
La situazione in Siria, dove gli scontri tra oppositori e regime vanno avanti da 24 settimane, è delicata. In uno scacchiere già di per sé complesso interviene finalmente l’Onu che, attraverso un rapporto ufficiale, chiede l’intervento dell’Aja e le dimissioni del presidente Assad (fortemente voluta da Usa e paesi europei). Mossa attesa da tempo e che, forse, giunge un po’ tardiva.
Nella giornata di ieri il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, l’Alto rappresentante Ue per la politica estera Catherine Ashton, e i leader di Francia, Germania e Gran Bretagna, Nicolas Sarkozy, Angela Merkel e David Cameron hanno quindi chiesto che il presidente siriano Bashar al-Assad se ne vada. Il rapporto dell’Onu presentato al Consiglio di Sicurezza ha poi indotto, dati i contenuti drammatici, l’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navi Pillay, a chiedere ai 15 di considerare il ricorso alla Corte Penale Internazionale (Cpi) per quelli che potrebbero essere “crimini contro l’umanità”. Oltre ai fatti di sangue che si sono succeduti nell’ultimo periodo non vanno dimenticate situazioni come “ospedali fatti chiudere prima delle offensive militari” e “medici che si rifiutano di curare chi protestava per paura delle forze di sicurezza”.
I precedenti non mancano. In passato Sudan e Libia sono state al centro delle indagini del tribunale – organo cui solo il Consiglio di Sicurezza può chiedere l’apertura di un’inchiesta – con omologo epilogo della richiesta d’arresto per i due leader: Omar al Bashir e Muammar Gheddafi. Le difficoltà giungono però dalla diplomazia.
La Russia si è già detta contraria alle richieste di dimissioni del presidente siriano Bashar al-Assad avanzate da Stati Uniti e Paesi europei. Lo fa sapere l’agenzia Interfax citando una fonte del ministero degli Esteri russo: "Non sosteniamo – ha detto la fonte ministeriale – tali richieste e crediamo che adesso sia necessario dare al regime del presidente Assad il tempo per realizzare le riforme che sono state annunciate". Altri Stati come Brasile, India e Sudafrica sono poi per una linea morbida e il Libano (per i suoi legami con la Siria), si è rifiutato di avallare il documento.
Forte del rapporto Pillay è comunque ancora fiduciosa di riuscire a convincere tutti: “Quando uno Stato, in maniera manifesta, non protegge la sua popolazione da gravi crimini, la comunità internazionale ha la responsabilità di intervenire”, si legge nel documento. Che prosegue chiedendo di “porre immediatamente fine alle gravi violazioni dei diritti umani, liberare i prigionieri politici, e consentire l’accesso a giornalisti e inquirenti delle Nazioni Unite”.
A tal proposito le Nazioni Unite stanno preparando una missione umanitaria che dovrebbe entrare in Siria nel fine settimana proprio per stimare il numero di sfollati, la loro dislocazione nel Paese e i loro bisogni primari. L’annuncio, arrivato da Valerie Amos, responsabile per gli affari umanitari dell’Onu al termine del Consiglio di Sicurezza riunito sulla Siria, ripete la volontà delle scorse settimane quando gli inquirenti dell’Onu furono però bloccati da Damasco.
La reazione Siriana non si è fatta attendere. Bashar Jaafari, rappresentante permanente della Siria alle Nazioni Unite, se l’è presa con gli Usa, rei di “lanciare una guerra diplomatica ed umanitaria contro di noi”. Jaafari ha quindi ribadito che, come già espresso dal presidente Assad, le operazioni militari per fermare le ribellioni sono terminate. “Fate attenzione, perché tutte le operazioni iniziate con la benedizione del Consiglio di Sicurezza si sono basate su menzogne”, ha infine concluso Jaafari. Posizione confermata da Rim Haddad, portavoce del ministero dell’informazione che ha chiosato: “invece di offrire aiuto a Damasco per attuare le riforme, il presidente americano Barack Obama e l’Occidente cercano di fomentare la violenza in Siria”.
Abbandonando per un attimo i tavoli del potere vanno registrati gli scontri avvenuti nella serata di ieri a Homs dove l’esercito di Damasco è tornato a sparare, secondo testimoni, in direzione delle abitazioni. Sempre a Homs, gli attivisti hanno denunciato l’uccisione nella notte di almeno due civili. Insomma, dopo settimane di inerzia l’Onu ha preso una posizione. Che non avrebbe potuto essere diversa e che ora la costringerà ad una escalation tanto diplomatica quanto operativa. L’auspicio è che per vedere i frutti del lavoro dei 15 non sia necessario aspettare a lungo, come avvenuto finora.