Metti una passeggiata d’Agosto per i viali alberati e i laghi di Hanoi

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Metti una passeggiata d’Agosto per i viali alberati e i laghi di Hanoi

20 Agosto 2011

Tra le economie ruggenti dell’Asia, certo stanno la Cina e l’India. Del Giappone e della Corea del Sud neanche a dirlo: molto più avanzati di certi paesi europei, Italia compresa. E poi Indonesia, Thailandia, Taiwan. Beh insomma la lista delle delle "tigri" emergenti d’Asia, o addirittura riemergenti dopo il botto degli anni ’90, è molto lunga. E a pieno titolo tra di esse sta oggi anche un paese di quasi 90 milioni di anime spesso negletto e non raccontato a sufficienza: il Vietnam. 

Se nell’immaginario collettivo la Cina – quella maoista di piazza Tiananmen e della ‘rivoluzione culturale’ delle guardie rosse – è stata la nazione delle biciclette (complice qualche film e si dica che oggi di biciclette ve ne sono sempre meno a Pechino), il Vietnam dovrebbe diventare a giusto titolo il paese dei milioni di motorini, guidati con caschetti coloratissimi (la campagna del partito comunista vietnamita per spingere all’uso del casco è stata un gran successo a quanto pare), i quali sfrecciano e ignorano la segnaletica in modo da far sembrare certi napoletani al volante un popolo di svizzeri.

Il Vietnam è nazione giovane: il 60% della popolazione ha meno di 30 anni. Diventata la grande fucina e industria della Cina, la sua economia è vibrante e in crescita sfavillante: persone che brigano a tutte le ore e che mangiano a tutte le ore (solo tra le 3:30 e le 5:30 le città sembrano dormire come dormono le città europee), le quali finiscono inevitabilmente in qualche mall di tecnologia domestica a spendere quel che hanno accumulato. Il frigorifero sembra avere un gran appeal, assieme chiaramente ai nuovi televisori al plasma. 

Nella strada che va dall’aeroporto di Hanoi al centro della capitale, si coglie immediatamente il brulichio di un’economia in esplosione. Ne sono sintomi i trasporti affannosi, e talvolta temerari, dei vietnamiti che usano i loro milioni di motorini come autocarri, riuscendo a trasportarvi merce, animali da macello, strumenti di lavoro. Lo sono anche i grandi camion con tante megascritte in cinese sui rimorchi diretti verso, o provenienti dal Youyi Guan, la porta dell’amicizia, quel varco sul confine sino-vietnamita a sugello dell’indissolubile relazione tra il Vietnam e la Cina (benché storicamente non priva di frizioni, si pensi solo alla guerra di confine sino-vietnamita del 1979). Lo sono anche le auto nere – giapponesi ed europee in prevalenza – dei nuovi ‘ricchi’ che usano il clacson per redarguire i ‘poveri’ in motorino a dire: "Scansati, che io ho l’auto, ce l’ho fatta e ho fretta".

Altra cosa è la comunicazione con clacson tra pari, ovvero tra motorini: anche in questo caso il suo uso non è affatto parsimonioso ovunque in Vietnam, e detiene un cifrario che tutti vietnamiti sembrano conoscere. Un colpetto a ogni incrocio è d’obbligo: " Passo!". E l’altro o gli altri, in spontanei unisoni, rispondono come a dire: "Passa pure e poi passo anch’io. Tranquillo non ti prendo". Le costruzioni di Hanoi, ma di tutto il Vietnam in generale, sono strettissime. Un tempo i vietnamiti pagavano delle tasse elevate sull’edilizia privata in funzione della larghezza delle loro case: non stupisce che siano larghe in media solo tre metri (solo ora con il boom dell’edilizia privata e commerciale si iniziano a vedere spesso cantieri di case con larghezze ben superiori).

Color pastello, circondate spesso da risaie, tanto nelle periferie delle grandi e medie città quanto nelle campagne del Nord (dove bufali addomesticati circolano ancora sul ciglio delle strade, quieti e possenti, guidati dalle mondine che tornano o vanno al campo),  le abitazioni vietnamite sono sovente una piacevole crasi di canoni stilistici sinocentrici e rifiniture europee. 

Hanoi è una città di svariate milioni di persone, e di altrettanti motorini. E’ il centro del potere del partito comunista, il luogo ove si trova il mausoleo di Ho Chi Minh, il leader dell’indipendenza vietnamita, padre della patria, colui che fondò i Viet Minh e che cacciò i francesi dal paese e il presidente della Repubblica del Vietnam del Nord, leader che sino al 1969 guidò da Hanoi la guerra contro il Vietnam del Sud e i suoi alleati. Il suo volto sta su ogni banconota della moneta locale: il dong (un euro ne vale circa 29.000). Dicevamo Hanoi con i suoi laghi e le sue pagode. Le sue stradine e la sua frenetica vita. Quando dall’Europa si cerca di razionalizzare perchè le nazioni asiatiche ci stiano mangiando vivi (economicamente e lento pede anche tecnologicamente), si tende dalle nostre parti ad arrivare ai soliti argomenti a corredo un po’ stantii. 

Quante volte ci hanno fatto la lezione i capimastri della sinistra europea i quali ci hanno detto che in ”quei” paesi mancano i veri diritti per i lavoratori e che dunque il fatto che i vietnamiti possano lavorare anche 13 ore al giorno (lampante contraddizione per un paese ufficialmente socialista) è una stortura destinata a finire. Da qui, dall’Europa, la maggiorparte di noi non coglie il motore primo di tanta operosità: il vietnamita vuole arricchirsi, vuole uscire dalla povertà, vuole il suo "posticino al sole", fatto di bei telefonini, di una casa (ma quella spesso già ce l’ha o gliela ha fornita il partito), di tanta tecnologia domestica, domani di un’auto e di una buona educazione per i suoi figli.

Fine prima puntata. Continua