Non lavorano, non studiano, non fanno formazione: sono i Neet
21 Agosto 2011
Acronimo inglese che sta per not in education employment or training in italiano sono i “né né”, perché non lavorano, non studiano, non seguono corsi di formazione professionale. Due milioni, secondo l’istat. Giovani tra i quindici e i ventinove anni. Nessuno in Europa sembrerebbe avere tanti neet come da noi. Un enorme spreco di risorse che potrebbero essere messe a frutto in molti modi. Le famiglie sono la rete di salvataggio. Scivolano inattivi ai margini del mercato, pesanti come pietre per la ripresa sia economica che culturale.
Si calcola all’incirca che al sud sono il 30% e al nord il 20%. Le donne sono molte di più. L’ Italia in testa è seguita dall’ Inghilterra dalla Francia e dalla Germania. Le previsioni non sono rasserenanti se si pensa all’invecchiamento e alla crescita bassa. Inoltre ci sarà quasi un superamento degli alunni stranieri su quelli italiani. L’ultima stima riportata dalla commissione cultura della Camera dei Deputati registra un incremento dovuto soprattutto a rumeni, albanesi e marocchini registrato nelle scuola primaria e secondaria. Insomma una nuova classe di ragazzi che non studia e non lavora in un momento di crisi generale. Una vera mina sociale se si pensa a quanti analfabeti scoraggiati e imborghesiti abituati a farcela grazie ai genitori si troveranno con un futuro incerto.
Li chiamano anche i giovani della zona grigia. Sono appunto quelli che hanno abbandonato la scuola, ma non cercano un lavoro. Altri che forse un lavoro lo vorrebbero ma non lo trovano. Un fenomeno difficile da definire. Infatti molti sono i fattori che lo determinano. Da una parte la nostra è una società di anziani che non lascia spazio ai giovani, ma anche di giovani narcisi non abituati a sopportare i disagi e le frustrazioni e che di fronte ad ogni ostacolo, prima scolastico e poi lavorativo tendono a mollare e a tornare a casa. Ma ci sono anche ragazzi che desiderano molto di più di ciò che riescono e riusciranno a realizzare, malati di desiderio, iperattivi nel consumo che vedono naufragare le loro grandi aspettative senza fare nulla.
Questa inattività costa alle famiglie sia dal punto di vista economico, dai 300 ai 500 euro; che psicologico. Avere un ragazzo che non lavora non studia ma desidera, vuole e in alcuni casi pretende è per i genitori un dramma; sia per le classi più disagiate economicamente, sia per il ceto medio alto, infatti il fenomeno di questa generazione è trasversale alle fasce sociali. La frustrazione per i genitori è altissima, anche per quelli che non hanno problemi economici, ma riponevano alte aspettative sui propri figli.
Sicuramente la famiglia in primo luogo ma anche la scuola e la società dovranno porsi la domanda su cosa è stato sbagliato nell’educare questi ragazzi che hanno abbandonato la scuola e che non sono interessati ad immettersi nel mondo del lavoro. Poi sicuramente ci sarà da chiedersi perché non c’è posto per loro. Ma prima di questo c’è stato tutto un tempo che sicuramente era della famiglia e della scuola. Possibile che non si è riusciti a motivare questi ragazzi, a farli innamorare della conoscenza, a fargli amare lo studio?
Possibile che l’esempio del lavoro dei genitori non li ha spinti a desiderare di uscire da casa per andare a lavorare? Possibile che i nostri ragazzi non abbiano avuto esempi, guide, mentori, maestri che li abbiano incoraggiati a camminare con le loro gambe. Come è potuto accadere?