Quello degli “indignados” italiani è un falò delle ovvietà
29 Maggio 2011
Sull’onda del successo spagnolo, un manipolo di rivoluzionari da tastiera ha deciso di stilare il manifesto degli indignados italiani. L’idea di rendere il documento online, pubblico e aperto al contributo di chiunque in tempo reale ha sin da subito palesato i limiti della democrazia reale. Ne risulta una tragicomica e disordinata rassegna di fantasticherie, qualunquismi, citazioni improbabili, discorsi da bar e, soprattutto, molta inventiva nell’uso della lingua italiana.
Indignati, sì, ma de che? Se lo chiedono esplicitamente anche questi giovani ma, ahimè, le risposte appaiono poco esaustive e talvolta contraddittorie. Con il trascorrere delle ore, il documento assume i connotati di un banchetto romano, in cui gli invitati, molti dei quali un po’ alticci, si cimentano nell’enunciazione ad oltranza di slogan privi di fondamento. Non mancano, chiaramente, i sessantottini fuori tempo massimo che propongono la nazionalizzazione delle industrie, o i verdi de’ noantri con la lotta alla nuclearizzazione. Ancora moderata la quota degli antiberlusconiani di professione, ma c’è da aspettarsi l’arrivo dei rinforzi nei prossimi giorni. Fin qui, a destare il maggiore interesse antropologico sono i complottisti.
Venendo al dunque, quali sono le proposte degli indignados nostrani, che a differenza di quelli spagnoli non hanno nemmeno la voglia – o forse la necessità – di scendere in piazza? Apparentemente, dietro tanta rabbia e indignazione, non vi sono idee chiare, né tanto meno proposte concrete. È il trionfo degli slogan, della rivoluzione per sentito dire, della partecipazione ad ogni costo. Vi è il mito sessantottino che un’incazzatura possa cambiare le sorti del mondo e che una legge basti ad arginare la corruzione e a smantellare le cosche mafiose. Corre molta differenza tra uno slogan e una proposta. Quest’ultima è propositiva, concreta, articolata in punti e, soprattutto, applicabile al vigente ordinamento giuridico. Nulla di realmente interessante è presente nel manifesto di questi Don Chisciotte contemporanei, la cui prerogativa non è abbattere un muro, quanto piuttosto combattere a priori contro uno, nessuno e centomila nemici.
In Italia c’è un altro movimento, fatto di giovani e con delle idee. Il Tea Party Italia, anch’esso, e a suo modo indignato, ma che preferisce il dialogo e l’iniziativa all’antipolitica degli slogan e delle utopie, le proposte mirate e adeguatamente articolate alle chimere confuse e qualunquiste. Facendone parte io stesso, credo anch’io che l’Italia non sia un paese perfetto, ma che in un’ipotetica scala gerarchica, la riforma di un sistema tributario ormai insostenibile e la riduzione dell’intervento statale nell’economia precedano le scie chimiche, il complotto pluto-giudaico-massonico e le altre follie di chi trascorre le giornate sognando di cambiare il mondo, senza sapere bene come; proprio come i quattro amici al bar di Gino Paoli.