“Giusto il principio ma va rivisto il sistema delle incompatibilità”

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“Giusto il principio ma va rivisto il sistema delle incompatibilità”

“Giusto il principio ma va rivisto il sistema delle incompatibilità”

23 Agosto 2011

"Certamente il principio secondo cui nella vita è bene fare una sola cosa è pienamente condivisibile", dice Gaetano Quagliariello, vicepresidente del gruppo del Pdl in Senato. "Mi ricordo quel vecchio film di Louis Malle nel quale una ragazza, per occuparsi di due uomini, li perse entrambi".

Sta dicendo che aderisce alla campagna de l’Unità contro i doppi (e tripli, e quadrupli) incarichi?

"Sto dicendo che capisco la ratio della proposta. E devo anche dire che rispetto a tante altre proposte che hanno infestato questa estate, sui costi della politica, questa ha certamente un suo perché".

E allora, che cosa la frena?

"Un complesso, che potrei chiamare anche il complesso del secondo comma dell’articolo 68 della Costituzione: quello che riguardava l’immunità parlamentare. Certamente una prerogativa utilizzata male, ma che teneva in piedi tutto un sistema di pesi e contrappesi. Per cancellarlo, sotto la pressione dell’opinione pubblica, il parlamento ci mise un minuto; per ricostruire un equilibrio istituzionale decente non sono bastati due decenni, e il prossimo anno festeggeremo il ventennale dall’inizio dei nostri sforzi".

E’ una buona ragione per non fare nulla?

"In momenti di crisi come questo, nei quali l’opinione pubblica chiede interventi di moralizzazione, una classe politica seria ci pensa tre volte, ed è questo il motivo per cui più che dire se sono d’accordo o meno vorrei allargare un po’ il discorso".

Prego.

"Detto che la ratio della proposta la capisco e la condivido, faccio notare che nel merito si pongono alcuni problemi. Innanzitutto, un problema di riorganizzazione delle funzioni: prima di parlare di quante cose possa fare un parlamentare bisognerebbe stabilire che cosa debba fare".

Perché, non è chiaro?

"No. Perché noi oggi abbiamo un Parlamento nel quale la maggioranza, dopo il tramonto della lunga stagione consociativa, e uso questo termine senza disprezzo, in senso tecnico… la maggioranza, dicevo, ha stabilito una sorta di continuum con il governo, e la funzione legislativa è esercitata più spesso dal governo che non dal Parlamento, mentre l’opposizione si presenta come una sorta di ‘governo in attesa’…".

Dunque?

"Dunque, abbiamo due conseguenze: la prima, che i parlamentari spesso avvertono una sorta di frustrazione, e questo perché non ci sono ancora mature camere di compensazione in cui governo e maggioranza si mettono d’accordo. Così, in assenza di sedi di discussione proprie, finisce che i parlamentari si sfogano sui giornali, soprattutto se è agosto".

La seconda conseguenza?

"La seconda è un problema di rappresentatività del Parlamento, nel senso che, come è stato notato, il collegamento dei parlamentari con i territori è abbastanza flebile. E allora, mi domando, siamo certi di voler liquidare una figura come quella del député-maire francese, cioè del sindaco che porta al livello centrale le istanze di un territorio?".

Lei cosa propone?

"lo ritengo che occorra ripensare il sistema delle incompatibilità nell’ambito di una riorganizzazione dei rapporti istituzionali che non può più essere messa da parte. Mi ricordo che una volta, quando facevo un’altra professione, lo storico, intervistai uno dei collaboratori più stretti di De Gaulle, Tricot, uno di quelli che avevano scritto la costituzione della Quinta Repubblica. Quando gli domandai perché parlasse di separazione dei poteri nel momento in cui il governo francese riceve la fiducia del Parlamento, mi rispose: perché abbiamo previsto l’incompatibilità tra essere membro del governo ed essere membro del Parlamento…".

Con questo che cosa Intende dire?

"Intendo dire che le incompatibilità rispondono a logiche istituzionali, non a esigenze di ordine moralistico. E allora va benissimo prevederle, ma ponendosi, appunto, problemi di architettura costituzionale complessiva. Problemi che io credo non possiamo continuare a rinviare in eterno: è questo il vero gap dell’Italia rispetto alle altre democrazie moderne, il nostro ritardo nel campo dell’innovazione, il vero costo della politica che paghiamo ogni giorno".

(Tratto da L’Unità)