“La Norvegia ha perso l’innocenza ma non ci sarà un altro Breivik”
21 Ottobre 2011
Per Ragnvald Berger dal 1999 è il sindaco del comune di Hole, che si trova contea norvegese di Buskerud. Eletto nelle liste dei Conservatori, è stato riconfermato dagli elettori poche settimane fa. Nel territorio che amministra c’è l’isola di Utøya, dove il 22 luglio 69 persone sono state uccise dalla mano di Anders Behring Breivik. Lo abbiamo raggiunto per ricordare la strage di tre mesi fa e capire com’è cambiato il suo Paese. La Norvegia non è più quella di prima ma tutti, governo, polizia, cittadini, adesso sembrano più pronti a fronteggiare "anche il peggiore degli eventi".
È il pomeriggio del 22 luglio 2011. Anders Behring Breivik sbarca sull’isola di Utøya e comincia a sparare. Alla fine i morti sono 69. Lei dov’era quel pomeriggio?
Ero insieme ai miei anziani genitori, che vivono 600 chilometri più a nord. Io e mia moglie avevamo incominciato la nostra vacanza estiva da appena tre giorni. Improvvisamente, circa alle 15.30, ho ricevuto una telefonata da mio figlio maggiore: “Devi guardare la televisione, c’è stata un’esplosione a Oslo”. Da quel momento in poi abbiamo seguito le notizie in Tv e, verso le 18.00, una scritta rossa è passata sullo schermo: “Sparatoria a Utøya”.
Che cosa ha fatto a quel punto?
Non sapevo cosa stesse succedendo, e ho chiesto a Morten, mio figlio più giovane, di 21 anni, di accendere il mio computer portatile. Non appena l’abbiamo fatto, ho guardato la lista delle persone da chiamare in caso di emergenza. E mentre lo stavo facendo, verso le 18.05 mi ha telefonato il capo della Squadra d’Emergenza nel nostro ospedale locale. Mi ha detto che si trattava di una situazione molto grave: molti colpi erano stati sparati, molti giovani erano stati feriti, alcuni uccisi, e che centinaia di ragazzi stavano cercando di scappare a nuoto. Mi ha spiegato che lo scenario era il peggiore possibile e abbiamo dovuto pensare subito a trovare un punto di raduno per le persone soccorse, per i feriti, per i genitori, per gli amici, per le squadre di intervento. Alle 18.30 abbiamo contattato il Sundvollen Hotel, quattro chilometri a nord di Utøya, e il Sollihøgda Tursenter, dieci chilometri a sud.
I primi ad aiutare i ragazzi di Utøya sono state le persone del luogo. Molti con le loro barche hanno salvato tanti ragazzi. La polizia è stata criticata per la lentezza con cui è intervenuta. Secondo lei ci sono stati errori?
Quando accadono cose del genere, nel posto più bello e sereno dove trascorrere le vacanze, la gente tende a reagire istintivamente. Alcune persone stavano campeggiando nelle vicinanze, alcuni erano nelle tende, altri stavano nuotando o pescando, altri ancora semplicemente erano in casa. Il nostro comune, Hole, è un piccolo centro di 6.500 abitanti e non ha polizia locale. La stazione di polizia più vicina è a Hønefoss, quindici chilometri a nord. La gente locale e i turisti, circa 110 persone, ha reagito istintivamente e ha salvato molte giovani vite. Alcuni lo hanno fatto mettendo in moto le loro barche e recuperando i ragazzi in acqua; altri lo hanno fatto a riva, prendendosi cura dei giovani nelle loro tende o nelle loro case. Non voglio criticare la nostra polizia locale: hanno fatto quello che potevano fare in quel caos, nessuno poteva davvero dire cosa stesse accadendo in quei momenti.
Lei quando ha potuto visitare l’isola?
Il massacro che è avvenuto a Utøya è il peggiore che sia accaduto nella nostra storia, 69 persone sono state uccise da una sola. Non ci sarà mai nulla di paragonabile, e molte persone – genitori, amici, giovani socialdemocratici, gente comune – non potrà mai superare questo trauma. Conosco bene l’isola, ci sono stato molte volte negli anni ’90. Ma per ora non ho intenzione di andarci, anche se capisco che i genitori di chi è stato ucciso e i sopravvissuti desiderino andare lì per cercare di ripercorrere gli eventi, per cercare di capire, e forse questo li aiuterà a superare la tragedia.
L’isola era un posto sereno, il nome di Utøya veniva associato a un luogo simbolico per i giovani socialdemocratici. Che effetto fa pensarla adesso?
Utøya è un posto bellissimo, e da molti anni è il cuore dell’educazione politica per i giovani socialdemocratici. Io non sono laburista, rappresento la parte opposta – i Conservatori – ma sono orgoglioso di ogni ragazzo e di ogni ragazza che abbiano delle opinioni. È un bene per la democrazia. Forse l’isola può diventare un simbolo per la democrazia e un luogo di incontro dove i giovani possano discutere diversi argomenti politici.
L’isola cosa diventerà? Tornerà quella di prima o pensate di trasformarla in qualcosa di diverso?
Utøya è una proprietà privata, appartiene all’Associazione dei giovani socialdemocratici. Molte persone hanno avuto buone idee su cosa i laburisti dovrebbero fare dell’isola. Molti hanno messo a disposizione soldi per la ricostruzione, per consentire un nuovo inizio. Penso che sia comunque una decisione da prendere quando sarà il momento: ancora adesso molte persone devono fare i conti con ricordi drammatici e terribili emozioni riguardo a cosa è accaduto per decidere del futuro dell’isola.
Sul massacro di Utøya verrà girato un film. Che ne pensa?
Penso che sia disgustoso che qualcuno stia cercando di fare soldi su una vicenda così crudele. Chi lo sta girando non ha alcun rispetto per i sopravvissuti e per i genitori che hanno perso i loro figli.
Nei giorni immediatamente successivi alla strage, sui quotidiani norvegesi i commentatori scrivevano che la Norvegia aveva perso la sua innocenza. Che effetto ha avuto sulla nazione secondo lei la strage di Utøya? Gli episodi del 22 luglio cambieranno in qualche modo il paese?
Sì, penso che il 22 luglio abbia cambiato la Norvegia. Penso che la polizia sarà più preparata a gestire casi come questo e che ogni comune, anche il più piccolo, deve essere pronto a fronteggiare anche il peggiore degli eventi. Ma abbiamo anche visto che la gente comune sa affrontare gli eventi meglio di quanto si possa immaginare, e penso che i cittadini del comune di Hole siano orgogliosi di come hanno affrontato questa terribile tragedia.