E’ ora di ritoccare pensioni e lavoro: lo vuole l’Europa e pure il Cav.
24 Ottobre 2011
Durante il summit del Consiglio Europeo tenutosi ieri a Bruxelles, l’asse Sarkozy-Merkel è tornato a puntare il dito sulla situazione economica italiana, tornando a sollecitare, anche con punte di ironia, il governo italiano a prendersi le proprie responsabilità e ad adottare tutte le soluzioni necessarie per migliorare la sostenibilità finanziaria e la crescita.
All’Italia, il presidente francese e la cancelliera tedesca hanno ricordato come sia necessario adottare urgentemente nuove misure su debito e crescita, per evitare che il Belpaese diventi un nuovo caso Grecia. In particolare, l’Europa torna a chiedere all’Italia un rapido intervento su due settori fondamentali: lavoro e pensioni.
La preoccupazione dell’asse franco-tedesco è solo in parte condivisibile. Dal punto di vista del risanamento dei conti pubblici, la strada intrapresa dal Governo italiano è giusta e le manovre finanziarie estive hanno segnato un importante passo in direzione della sostenibilità finanziaria di lungo periodo.
Con l’adozione del decreto legge n. 98/2011, il Governo ha infatti effettuato una correzione di circa 48 miliardi di euro in termini netti cumulati, mentre con il successivo decreto legge n. 138/2011, la correzione complessiva è stata incrementata a 59,8 miliardi, pari a 3,5% del PIL. Le correzioni sono avvenute sia mediante misure di contenimento della spesa pubblica (significativi i tagli per i ministeri), sia attraverso l’incremento delle entrate.
Grazie a questi interventi, l’Italia sarà in grado di raggiungere il pareggio di bilancio (in termini di indebitamento netto) già a partire dal 2013. Se poi guardiamo al valore dell’indebitamento strutturale (al netto delle componenti cicliche e una-tantum), osserviamo che nello stesso anno si arriverà ad un surplus pari allo +0,6% del PIL, mentre il saldo primario (al netto degli interessi sul debito) addirittura a +5,4%.
Queste manovre restrittive, tuttavia, hanno provocato una perdita di produzione. Il Governo, infatti, ha dovuto rivedere al ribasso il tasso di crescita del PIL per il triennio 2012-2014, con una minor crescita cumulata pari a due punti percentuali. La pressione fiscale è stata inoltre rivista al rialzo, vicina ad un tasso del 44%.
Osservando questi dati, si comprende come l’Italia non abbia bisogno di effettuare altri interventi correttivi sul bilancio. L’intrapresa di nuove politiche restrittive provocherebbe una ulteriore contrazione del PIL, con effetti negativi anche sul versante del gettito tributario. Con una incidenza delle tasse così elevata come quella attuale è impensabile chiedere ai cittadini di pagare di più.
Il reddito disponibile per i consumi delle famiglie è già stato sufficientemente ridotto, ed una ulteriore sua riduzione, dovuta ad ulteriore inasprimento fiscale (esempio, la reintroduzione della patrimoniale voluta dalle parti sociali), rischierebbe di provocare un vero e proprio consumption crunch. Come insegnava Laffer, quando il prelievo eccede una certa soglia, gli effetti negativi sul gettito cominciano più che a compensare quelli positivi. E l’Italia è molto prossima a questo caso.
Se dal punto di vista del bilancio il Governo ha fatto quanto doveva per rimettere la finanza pubblica sui giusti binari, non altrettanto ha invece fatto per la crescita, il vero vulnus dell’economia italiana, “il” problema ancora insoluto. Da questo punto di vista, l’Europa ha le sue ragioni per avanzare richieste.
Ecco che allora il Decreto Sviluppo giunge al momento opportuno per fornire le giuste risposte. E’ necessario che nel decreto vengano inserite tutte le misure liberali mai attuate finora: liberalizzazioni, privatizzazioni, dismissioni del patrimonio pubblico, completamento della riforma delle pensioni, riforma fiscale e revisione del mercato del lavoro. Per far questo, è opportuno mettere in conto che bisognerà scontrarsi con alcune lobby e con le voci dissonanti all’interno della maggioranza. Ma sulle riforme non si può più rimandare. I mercati ci guardano e potrebbe essere un errore nella stesura del decreto a generare il prossimo attacco speculativo.
Parallelamente a tutto questo, il premier ha tutto il diritto e il dovere di parlare con fermezza ai suoi colleghi europei, per difendere il paese. L’Italia non è la Grecia e le istituzioni europee non sono organismi infallibili che forniscono soluzioni perfette. Ne abbiamo avuto una dimostrazione relativamente alla crisi greca, quando è stato l’eccessivo tentennamento di Francia e Germania e i macroscopici errori di sottovalutazione delle dimensioni quantitative della crisi a proporre misure sbagliate e salvataggi insufficienti.
Non è un caso se siamo ancora a parlare dell’ennesimo prestito da garantire al governo ellenico. Su questo tema, l’Europa dovrebbe cominciare a considerare seriamente una exit-option, dal momento che i risultati degli interventi non ci sono stati, e dal momento che si comincia a comprendere come l’economia greca non abbia i fondamentali per restare nell’Eurozona.
Berlusconi, inoltre, dovrebbe mostrare ai colleghi europei gli ultimi risultati forniti dall’INPS, che dimostrano come, grazie all’introduzione del sistema contributivo, i giovani di oggi avranno una pensione pari al 70% dell’ultimo stipendio e non alle percentuali drammatiche sempre paventate da un certo giornalismo.
Per quanto riguarda il lavoro, il premier dovrebbe portare avanti il principio di contrattazione salariale decentrata, in maniera da favorire sempre più un rapporto di lavoro one-to-one, in esatta antitesi con il modello centralista finora seguito, da sempre una delle cause principali dell’eccessiva vischiosità dei salari. Ed infine, per quanto riguarda il fisco, dovrebbe portare avanti il principio di semplificazione del sistema tributario ed introdurre il quoziente famigliare per sostenere il reddito delle famiglie numerose.