Alla sinistra chiedo di dire sì al presidenzialismo alla francese
27 Dicembre 2011
Gentile direttore,
la proposta di legge costituzionale per l’elezione diretta del Presidente della Repubblica e la forma di governo semipresidenziale (di tipo francese) presentata da più di centoventi deputati del Pdl, non vuole essere un’iniziativa di parte, ma costituire un’occasione per una riflessione che riguarda tutti, il Pd non meno del Pdl.
Si pone, infatti, un interrogativo di fondo: se la grave crisi finanziaria ha reso necessaria, in una fase di emergenza, la nascita di un governo "tecnico" sostenuto da Pdl, Pd e Udc, può questa formula politica trovare applicazione in via ordinaria, divenendo di fatto una "grosse koalition" permanente ?
La dinamica degli eventi sta infatti andando decisamente in questa direzione: da una parte, la crisi dell’euro e le regole di convergenza finanziaria prescritte dall’Unione europea che ci impongono di ridurre il nostro debito dal 120 % al 60 % del PIL in venti anni (forse già a partire dal 2012, in base al super patto fiscale tra gli Stati dell’Eurozona che stiamo per sottoscrivere), un obiettivo che, in assenza di crescita economica, richiederebbe manovre di varie decine di miliardi di euro l’anno, assolutamente insostenibili; dall’altra, i limiti e la crisi del nostro bipolarismo, con le forti spinte per il ritorno alla proporzionale, ci stanno portando, dritti dritti, proprio verso una soluzione tipo "grosse koalition" permanente. Anche la sequenza delle prossime scadenze istituzionali tende a favorirla: nel 2013 si dovranno svolgere, nell’ordine, prima le elezioni politiche (dalle quali, con la proporzionale, non scaturirebbe alcun vincitore con la maggioranza assoluta dei seggi), immediatamente dopo l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, quasi certamente a larga maggioranza, poi la nomina da parte di quest’ultimo del nuovo Presidente del Consiglio, scelta che finirebbe per ricadere su una personalità capace di avere il sostegno di una larga maggioranza, magari la stessa che ha dato luogo all’elezione presidenziale…
Se Pd e Pdl vogliono evitare uno scenario del genere devono subito rimboccarsi le maniche e mettere in atto adeguati processi di riforma politica e istituzionale.
Infatti, se il nostro bipolarismo é andato in crisi, lo si deve ai limiti sia delle forze politiche e delle relative coalizioni, sia dei meccanismi istituzionali. Occorre agire su entrambi i piani. Per quanto riguarda il primo di essi, i due pariti maggiori dovrebbero essere capaci di ripensare se stessi, utilizzando proprio il tempo del governo Monti. Da una parte, il Pd dovrebbe emanciparsi dal tatticismo e chiedersi come recuperare la vocazione maggioritaria e riformista senza riconsegnare la prospettiva di governo della sinistra ad una specie di nuova Unione o di nuovo Ulivo, che riprodurrebbe la vecchia impotenza. Dall’altra parte, il Pdl dovrebbe interrogarsi criticamente sulla propria esperienza di governo, cercando di capire come recuperare credibilmente una prospettiva che rilanci lo sviluppo e riduca la pressione fiscale, attraverso riforme che assicurino più libertà economiche e civili. Contestualmente, occorre realizzare un’incisiva riforma istituzionale.
Per qunto riguarda la legge elettorale é una pura illusione, se non un inganno, sostenere che con il sistema elettorale tedesco, cioè con la prorzionale e uno sbarramento a livello nazionale, inevitabilmente aggirabile, si possa costruire un bipolarismo più maturo ed europeo. Per quanto riguarda la riforma della Costituzione non ci si può limitare alla riforma del bicameralismo e alla riduzione del numero dei parlamentari, occorre una profonda modifica della forma di governo che riveda l’assetto dei poteri del Presidente del Consiglio e del Presidente della Repubblica, poteri che, per quest’ultimo, la Carta del 1948 lascia per tanti aspetti indeterminati. Quello che abbiamo di fronte è un grave fenomeno di scissione tra potere e responsabilità politica che caratterizza la nostra Costituzione, in contrasto con il principio non scritto del costituzionalismo liberale secondo il quale essi devono sempre andare di conserva.
Occorre scegliere: o attribuiamo al Presidente del Consiglio il corredo dei poteri previsti nelle maggiori democrazie parlamentari europee, in particolare un adeguato meccanismo di stabilizzazione dell’esecutivo che includa il ricorso anticipato alle elezioni, in modo da assicurare il corretto funzionamento del sistema parlamentare e del bipolarismo, oppure eleggiamo direttamente il Presidente della Repubblica in un equilibrato sistema semipresidenziale, come in Francia (inclusa la modifica costituzionale del 2000 che ha ridotto la durata del mandato presidenziale a cinque anni per evitare la cosiddetta "coabitazione").
Altrimenti, se dalle elezioni finisce comunque per scaturire una "grosse koalition", non viene meno solo il bipolarismo, ma lo stesso principio della sovranità popolare sancito dall’articolo 1 della Costituzione.
Personalmente, fino a poco tempo fa, ho ritenuto preferibile la forma di governo del premier, perché appariva più vicina all’evoluzione spontanea del sistema politico. Oggi ritengo si debba prendere atto – come ha affermato Galli della Loggia sul Corriere della Sera del 30 novembre – che "é andato crescendo di molto, in direzione schiettamente politica, il ruolo del Presidente della Repubblica" e che "da una interpretazione minimalista e sostanzialmente notarile dei suoi poteri" si e’ ormai passati ad "una interpretaione assai penetrante e, per così dire, interventista, dotata di una fortissima capacita di impatto e di condizionamento sull’orientamento politico del Paese". Una serena riflessione su questa evoluzione dovrebbe suggerire di cambiare le regole istituzionali adeguandole ai mutamenti intervenuti.
L’elezione diretta del Presidente della Repubblica con un equilibrato sistema semipresidenziale e un sistema elettorale aggregante, può essere la strada migliore per costruire un rinnovato sistema politico bipolare, basato prevalentemente su due partiti a vocazione maggioritaria, capaci di esprimere leadership unificanti. In secondo luogo, mentre la forma di governo del premier presuppone un grado di coesione che l’Italia non ha, in considerazione della frattura Nord-Sud (una frattura destinata ad accentuarsi con la crisi economica e a divenire addirittura dirompente in caso di crisi dell’euro), il sistema semipresidenziale con l’elezione diretta del Presidente della Repubblica appare assolutamente più idonea a garantire la tenuta dell’unità nazionale di fronte alle difficilissime sfide che attendono l’Europa e l’Italia.
(tratto da l’Unità)