Non c’è più sordo di un Narducci che non vuol sentire

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Non c’è più sordo di un Narducci che non vuol sentire

22 Luglio 2011

È dal 1993, con la famosa operazione Mani pulite, che si assiste in Italia ad uno scontro tra magistratura e politica. Se alcuni ancora oggi negano questa realtà, sostenendo che da una parte c’erano e ci sono i magistrati, tutti eroici per definizione, e dall’altra c’erano e ci sono i politici, tutti ladri per definizione, ebbene, le parole pronunciate dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante il suo incontro al Quirinale con i magistrati tirocinanti, dovrebbero contribuire a fugare ogni dubbio.

Quelle di Napolitano sono parole che sembrano ovvie, ma evidentemente non lo sono per chi nega la necessità di riforme che possano ridefinire il rapporto tra politica e magistratura. Il Presidente della Repubblica ha detto, riferendosi al tema intercettazioni, che queste non vengono utilizzate solo in casi di necessità, come insegna la Corte di Cassazione, e che il loro contenuto viene spesso divulgato pur non avendo alcun rilievo processuale. Il Presidente ricorda che il rischio è quello di ledere “la privatezza dell’indagato, o ancor di più, di soggetti estranei al giudizio”. Poi punta l’indice contro “l’intollerabile scontro tra magistratura e politica” auspicando una riforma condivisa.

È chiaro che Napolitano ha voluto evidenziare come la corrente situazione non sia più accettabile. In particolare, non si può più tollerare il rapporto esistente tra procure e mass media, che dà vita, sempre più di frequente, a quello che Daniel Soulez Larivière, avvocato protagonista di celebri processi nella Francia degli ultimi vent’anni, chiamò “il circo mediatico-giudiziario”. Proprio quel circo mediatico giudiziario denunciato da Larivière negli anni Novanta sta facendo tuttora scempio delle nostre libertà, con i processi spettacolo, la pubblicazione di intercettazioni, la farsa del segreto istruttorio, le gogne televisive.

Tutto ciò è stato analizzato, tra gli altri, da Giovanni Fasanella e Giovanni Pellegrino nel loro libro Il morbo giustizialista (Ed. I grilli Marsilio, 2010). In particolare gli autori, con l’espressione morbo giustizialista, intendono “la tendenza a risolvere per via giudiziaria la complessità dei problemi della politica, ereditati in gran parte da una storia anomala che ha prodotto vere e proprie patologie. E si potrebbe aggiungere: attribuendo un aprioristico favore ai magistrati dell’accusa, i pubblici ministeri. Figure sempre più mitizzate, tanto da essere percepite nell’immaginario collettivo come giustizieri senza macchia, custodi di una “società civile” (il popolo) idealizzata e contrapposta ad una politica corrotta”.

Certo, non si può negare che la politica ha grandi colpe, ma ciò non autorizza la magistratura a tentare di sostituirsi ad essa nel tentativo (vano) di moralizzare la società. Sarebbe opportuno che fossero in molti a meditare sugli scritti di François Guizot (1787-1874), uomo di governo e uno dei massimi storici francesi dell’Ottocento, che nel suo Cospirazioni e giustizia politica mette in guardia dai pericoli di una giustizia che diventa politica:”(…) In nessun caso la giustizia può appartenere alla forza; è la forza che le appartiene, che deve servirla. E più l’usurpazione è pressante, più pretesti essa ha da far valere, più gli amici della legittimità devono mostrarsi fermi e vigilianti (…). Io non accuso i tribunali; io difendo la giustizia”.

Tornando al discorso del Presidente della Repubblica. Napolitano ha affermato la necessità di “evitare condotte che creino indebita confusione di ruoli e fomentino l’ormai intollerabile, sterile scontro tra politica e magistratura, come accade, ad esempio, quando il magistrato si propone per incarichi politici nella sede in cui svolge la sua attività”.

Napolitano, come conviene al suo ruolo, non dà riferimenti espliciti, ma non è difficile farsi venire alla mente gli svariati casi di magistrati che, togliendosi la toga dalle spalle, sono andati a ricoprire negli ultimi tempi incarichi politici proprio nella stessa città in cui essi esercitavano funzioni giurisdizionali. A Napoli, per esempio, c’è il caso recentissimo di Giuseppe Narducci, il pubblico ministero chiamato dal neosindaco Luigi De Magistris a ricoprire l’incarico di assessore alla sicurezza, nonostante l’alt del presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, che ha giudicato inopportuna la nomina in quanto contraria all’articolo 8 del codice deontologico, e nonostante “l’assoluta contrarietà” del vicepresidente del Csm Michele Vietti, oltre al disappunto espresso anche in quella circostanza dal Capo dello Stato.

Nulla da aggiungere, dunque, a quanto ha già rilevato il direttore del Corriere del Mezzogiorno Marco De Marco, quando dice che ciò che è ancor più intollerabile è “l’arrogante silenzio” con cui Narducci evita di rispondere a quello che invece è un serio problema politico. O forse, si chiede sempre De Marco, bisogna considerare anche quelle di Giorgio Napolitano come “provocazioni irricevibili”? Si attendono risposte, possibilmente ricevibili.