La Turchia va in Africa e consolida il suo progetto di egemonia regionale

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La Turchia va in Africa e consolida il suo progetto di egemonia regionale

29 Ottobre 2011

"Abbiamo trascurato le nostre relazioni con molte regioni del mondo, come l’Africa, dove negli ultimi tempi abbiamo aperto quindici ambasciate”, ha spiegato Nursuna Memecan, parlamentare eletta nelle liste del Akp (il Partito per la Giustizia e Sviluppo del premier Recep Tayyip Erdogan) e capo della delegazione turca al Consiglio d’Europa in visita a Roma.

L’interesse per il continente nero è solo l’ultima dimostrazione attivismo diplomatico turco.  Da quasi un decennio le ambizioni di politica estera di Ankara, sono il risultato di un nuovo orientamento del governo che ha deciso di mettere a frutto l’eredità del suo passato ottomano e dalla sua collocazione strategica tra Europa e Medio Oriente. Erdogan mira a far divenire la Turchia una nuova potenza economica nella regione coltivando l’ambizione di divenire un hub gas sfruttando politicamente la sua posizione geografica di ponte tra paesi produttori e consumatori nel sistema regionale di commercio degli idrocarburi. 

La Turchia vuole tornare ad essere una grande potenza e per farlo si serve del neo ottomanesimo, la dottrina elaborata da Ahmet Davutoglu, attuale ministro degli esteri. Fondamento di questi disegno strategico è il principio “zero problemi con i vicini”. La diplomazia del buon vicinato è lo strumento per accrescere l’influenza e il peso economico dell’ex impero ottomano. Nella capitale, arrivano ogni giorno sovrani e ministri dall’Iraq, dal Pakistan, dagli Emirati e dall’Arabia Saudita. Alcune amicizie fanno discutere, come quella che lega Ankara a Teheran e la rottura con Israele sembra incrinare vecchie certezze delle cancellerie occidentali. Ma si tratta di una rivoluzione necessaria per far decollare l’economia turca.

Le compagnie turche negli ultimi tre anni sono state tra le più competitive ed hanno vinto appalti nel Nord Africa, nel Medio Oriente e nella zona del Golfo per un valore di 33 miliardi di dollari. Nel 2010 l’esportazione in questa regione ha raggiunto la cifra di 26 miliardi di dollari, mentre il totale degli investimenti è stato di 9,5 miliardi di dollari.  A partire da metà 2009 fino a metà 2010, la Turchia ha incrementato la sua produzione di oltre il 10%, nei primi quattro mesi del 2010, le esportazioni turche sono cresciute dell’11 per cento e le importazioni del 35%. Numeri che ne fanno una piccola Cina alle porte dell’Europa.

Mentre il Vecchio continente arranca, lo scorso anno  il Pil della Turchia è aumentato del 6%. Uno sviluppo è guidato dalle tigri dell’Anatolia: Adana, Konya, Gazi e Antep, una striscia di città operose sulla strada verso l’Iran. Niente suk e bazar da mille e una notte ma centri commerciali e imprenditori moderni che sanno guardare lontano. l tempo di capire che i problemi della Grecia, della Spagna e dell’Italia potevano attraversare il Bosforo i nuovi imprenditori turchi hanno lasciato i mercati tradizionali per puntare su paesi come l’Iran e l’Afghanistan dove, il rischio è più alto ma anche i guadagni lo sono. 

E qui torna il concetto di “profondità strategica” elaborata da Davutoglu. Ma farsi nuovi amici, e nuovi mercati non basta. Da quando è al potere, l’Akp ha mosso l’equilibrio sul quale si reggeva l’economia: l’iniziativa è stata per decenni nelle mani dell’élite kemalista e statalista che ha fatto di Istanbul il proprio centro di potere, mentre l’Anatolia agricola (e religiosa) è rimasta esclusa dallo sviluppo industriale.

Lo stato, quasi onnipresente, continua a controllare settori strategici come la siderurgia, l’energia e l’industria pesante ma adesso gli imprenditori musulmani hanno la grande chance di competere sul mercato globale. Nel 2009 il governo turco ha anche messo a punto un piano d’azione, l’Istanbul Financial Centre Project, per  rendere Istanbul un centro finanziario regionale nel prossimi dieci anni ed attrarre capitali stranieri. La Turchia non vuole nessun problema con i vicini ma vuole fare tanti affari per diventare un attore mondiale di cui non si può fare a meno.