Le primarie di Genova condannano i democrat all’irrilevanza politica

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Le primarie di Genova condannano i democrat all’irrilevanza politica

16 Febbraio 2012

La sinistra antagonista accerchia la sinistra “costituzionale” e sedicente riformista gettandola nel baratro della disperazione. Le primarie condannano il Pd all’irrilevanza politica e rischiano di metterlo nell’angolo. Quando si perdono città importanti come Genova (da ultimo), Milano, Napoli, Cagliari significa che la capacità di attrazione sul territorio è inesistente. Del partito guidato da Bersani, insomma, gli elettori di sinistra probabilmente non ne possono più. La sua inconsistenza è talmente evidente, infatti, che a pochi tra quanti negli ultimi vent’anni si sono riconosciuti nel Pci-Pds-Ds per poi approdare nell’ibrido, confuso e litigioso Pd viene la voglia di sostenere un partito senz’anima e senza identità.

Che cosa hanno a che fare gli ex-comunisti (ma lo stesso può dirsi per gli ex-democristiani di sinistra) con un governo tecnocratico da loro invocato come salvifico al puro scopo di sloggiare Berlusconi? Vedono nelle politiche di Monti qualcosa che assomigli alle loro idee (sempre che ne abbiano, poiché negli ultimi quattro anni hanno proposto soltanto balbettii incomprensibili e contraddittori) sulle liberalizzazioni, il mercato del lavoro, il rigore economico, i provvedimenti fiscali? La vicinanza, insomma, con i professori in che cosa consisterebbe? Avevano la possibilità di prendersi il governo del Paese, ma non l’hanno fatto, rinunciando al ritorno alle urne dopo le dimissioni del Cavaliere, per pavidità. Infatti una parte di loro ha avuto paura di vincere non sentendosela di governare nelle circostanze presenti; un’altra parte perché scettica sulle reali possibilità di vittoria e timorosa di fare la fine di Prodi nel 2008. Entrambe le aree su un aspetto, comunque, sono state concordi nel rinunciare alla contesa per ripiegare sui tecnici tentando perfino di accaparrarseli: la consapevolezza che senza una forte candidatura alla premiership, un programma condiviso ed una coalizione coesa sarebbe stato difficile presentarsi all’elettorato con l’obiettivo di far uscire il Paese dal tunnel.

Immerso nel guado fin dal momento della sua fondazione – una “fusione a freddo” venne definita l’operazione – il Pd non solo non ha mantenuto i consensi ottenuti quattro anni fa alle politiche, ma ha visto erodere la sua base elettorale, come indicano i sondaggi, fino a perdere sette, otto punti percentuali a vantaggio di Vendola, Grillo, Di Pietro e del vasto bacino degli astenuti.

Insomma, la sinistra-sinistra e quel che resta del catto-comunismo che fu, si allontanano senza ambasce dal Pd considerandolo ormai non più idoneo a costruire un’alternativa sia all’ammaccato centro-destra che ai poteri forti i quali, com’è ormai chiaro, sembra che abbiano la chiara intenzione di uscire allo scoperto e mostrarsi appoggiando, se non costruendola ex-novo, una coalizione iperliberista e sostanzialmente neo-centrista.

Che cosa ne pensi il Pdl di questa prospettiva, non è dato saperlo. Sappiamo, invece, che i militanti di sinistra, messi in condizione di esprimersi, hanno fiutato l’inghippo al punto da rifiutare al Pd i loro consensi, ritenendo il partito inidoneo a contrastare la deriva tecnocratica-finanziaria della politica italiana sempre più prona ai voleri della Bce ed incapace di opporsi ai diktat tedeschi che finiranno per travolgere l’Europa.

La debacle genovese del Pd è indicativa, infine, di un conflitto permanente che, per quanto a tratti esploso anche vigorosamente negli anni passati, è sempre sostanzialmente stato tenuto sottotono, dispiegando i suoi esponenti tutte le energie nell’alimentare l’antiberlusconismo militante. Aver presentato alle primarie di Genova due candidate su cinque concorrenti ( una delle due era il sindaco uscente travolta dalle polemiche), è stato il sintomo più chiaro dell’ingovernabilità in cui versa il partito le cui cause remote risalgono all’incapacità della classe dirigente post-comunista di rinnovarsi.

Fateci caso, sono ancora i vecchi “ragazzi di Berlinguer” che danno le carte, smistano i posti di potere, costruiscono le candidature, dominano le federazioni, si fanno la guerra tale e quale come facevano quando se le davano della Fgci. Qualche inserimento nuovo c’è stato, perlopiù valvassori e valvassini di arroganti feudatari: non contano niente e fingono di avere idee che rubacchiano non a testi teorici, ma agli analisti di “Repubblica”. Si danno pure arie da politici navigati, mentre i maggiorenti li lasciano giocare sui divani dei talk show. Non rappresentano niente e nessuno. I militanti di una sinistra che comunque c’è, l’hanno capito. E se ne tengono alla larga.