“L’opzione militare israeliana contro l’Iran perde forza giorno dopo giorno”

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

“L’opzione militare israeliana contro l’Iran perde forza giorno dopo giorno”

17 Febbraio 2012

John Bolton, l’ex-ambasciatore Usa all’Onu sotto George W. Bush è appena sceso dal palco del CPAC di Washington DC e corre a firmare libri nella zona degli stand, tra uno della National Rifle Association e uno della Heritage Foundation. Se un candidato presidenziale Repubblicano dovesse tornare alla Casa Bianca il prossimo Novembre, il suo nome viene spesso fatto per la Segreteria di Stato, il posto occupato oggi da Hillary Clinton.

Chiede alla sua scorta di farci inserire nella "carovana" del suo seguito, e partiamo in un lungo labirinto che si snoda nei meandri del Marriott Wardam, l’hotel dove si è svolto l’incontro dei conservatori statunitensi. Aspettiamo che parli con i colleghi della tv canadese. Alla fine è tutto nostro, per cinque minuti. Con lui abbiamo voluto parlare principalmente di come gli Stati Uniti stiano gestendo le crisi e le trasformazioni in Medioriente.

In particolare si discute di Siria, d’Iran e connessa opzione militare israeliana contro le infrastrutture nucleari iraniane. Su quest’ultima eventualità ci dice di essere convinto che si tratti di una "declining option", di una opzione in declino. Rincara dicendo che l’America avrebbe le capacità di farlo molto meglio ma che l’amministrazione Obama "teme più un attacco israeliano che un Iran nucleare". Infine mette in guardia l’Europa. "Deve investire in Difesa. La riduzione della spesa militare in Difesa ha dimunuito il suo peso nel mondo. E un’Europa più debole, vuol dire un mondo più debole".

In Siria siamo ormai alla guerra civile e la comunità internazionale, compresa l’amministrazione Obama, è all’impasse. Come giudica la politica statunitense rispetto ad Assad e alla crisi siriana in generale?

La politica dell’amministrazione Obama è nel caos più totale. Si sono lasciati sorprendere dal veto cinese e russo alla risoluzione anti-Assad in Consiglio di Sicurezza, benché la bozza di risoluzione fosse stata già ampiamente annacquata e resa inefficace. Nondimeno, l’amministrazione Obama si aspettava che Cina e Russia avrebbero sostenuto quel testo, così da presentarsi al mondo dicendo “Questa è la nostra posizione”. Con il veto posto alla risoluzione (ndr, ieri Cina e Russia hanno votato contro anche ad una blanda e non vincolante risoluzione dell’Assemblea Generale), l’ammini -strazione USA ha invece sbandato e credo che abbia lasciato disorientati in molti nel mondo arabo e in Occidente.

Disarcionare un dittatore come Assad dalla Siria significherebbe togliere l’ultimo principale alleato dell’Iran nel mondo arabo. Perchè secondo lei gli Stati Uniti non esercitano maggiore pressione?

Intanto dubito che Assad sia l’ultimo alleato dell’Iran nella regione araba. C’è sicuramente Al Maliki in Iraq, Hezbollah in Libano e Hamas nella Striscia di Gaza. Sappiamo che recentemente Haniyeh, il leader di Hamas a Gaza, si è recato a Teheran. Questo arco dà la misura della natura di questo conflitto. Personalmente propendo da anni per un regime change tanto in Siria che in Iran. Uno dei miei maggiori motivi di preoccupazione rispetto alla riluttanza dei membri dell’amministrazione Obama nel tagliare i ponti con Assad, è che intimamente non vogliono far venir meno un altro eventuale round di negoziazioni sul programma nucleare con gli iraniani. A mio parere negoziare con l’Iran è un’assoluta perdita di tempo. Nella logica dell’amministrazione di Obama, temono però – probabilmente a ragione dal loro punto di vista – che tagliare definitivamente i ponti con la Siria significhi pregiudicare completamente un dialogo con i mullah.

Insomma l’amministrazione Obama non fa cadere Assad, blocca Israele, il tutto per non perdere un canale negoziale sul programma nucleare iraniano. E’ questo che sta dicendo?

Assolutamente. Questa amministrazione ha fatto pressioni per tre anni su Israele affinché non agisse contro il programma d’armamento nucleare iraniano. E adesso le pressioni su Israele da parte statunitense non sono più solamente private, ma sono diventate persino pubbliche [con le dichiarazioni di Leon Panetta]. Israele sarà costretta ad assumere le proprie decisioni, e stabilirà se permettere o meno a una minaccia esistenziale come l’Iran d’emergere a così poca distanza dal proprio territorio. A quanto sembra, l’amministrazione Obama oggi teme un attacco israeliano più di quanto non tema un Iran dotato di armi nucleari. Ciò riflette una visione assolutamente arretrata ma, ripeto, rientra nella logica di questa amministrazione Obama.

Quanto pesa l’approssimarsi delle elezioni presidenziali nei ragionamenti dell’amministrazione Obama?

Prima d’essere un problema d’opportunità elettorale, credo vi sia un problema ideologico. Il team di Obama – e lo stesso Presidente – è ancora convinto di poter procedere con l’Iran attraverso le negoziazioni. Un assunto che si dimostra falso. In realtà è gran parte degli assunti concettuali di politica estera di questa amministrazione che si sta dimostrando falsa.

Secondo lei Israele ha le capacità militari per portare avanti da sola un’azione militare contro gli impianti nucleari iraniani?

Personalmente credo che un’azione militare del genere sia proprio al limite delle loro capacità, almeno per gli impianti nucleari iraniani di cui è dato sapere oggi. Purtroppo l’opzione militare è un’opzione che diventa sempre meno praticabile al passare del tempo e questo perché l’Iran sta rafforzando e controllando di più gli impianti, e predisponendo delle contro-misure per resistere a un possibile attacco militare esterno. Inoltre c’è molto di cui non si sa su ciò che accade dentro l’Iran. A mio avviso gli Stati Uniti possono portare a termine un attacco del genere in condizioni migliori. Quanto a Israele, può continuare a fare ciò che già fa. In ultima istanza, non so quale sarà la decisione degli israeliani, ma non credo sia rimasto loro molto tempo per prenderne una.

Poco tempo per Israele, e più tempo con nuove negoziazioni per l’Iran… Questo il paradosso del multilateralismo, non è così?

E’ quel che fanno sempre: prendere tempo. Le negoziazioni servono a Teheran proprio per fare questo. E’ quello che continuerà ad accadere nelle negoziazioni con Catherine Ashton e credo che l’Iran farà lo stesso col Gruppo 5 + 1 [ i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu + la Germania]. I negoziati danno agli iraniani il tempo di superare gli ostacoli che incontrano sulla loro via in quello che è un percorso tecnologico e scientifico molto complicato per il raggiungimento di capacità nucleari. Sono riusciti a portare tutti al tavolo quattro o cinque anni fa con successo e mi sembra lo stiano per rifare ancora.

Cosa può – e deve fare – secondo lei l’Europa per aiutare Israele di fronte al rischio nucleare iraniano?

Prima di tutto l’Europa deve aiutare se stessa. L’Occidente, nel suo insieme, deve aumentare la propria spesa in difesa. Questo deve avvenire dentro un quadro Nato e deve essere inserito in una strategia coerente. La diminuzione della spesa in difesa nel corso degli anni ha prodotto un’Europa molto più debole nel mondo. Questo ha reso la Nato, gli Stati Uniti e in un certo senso il mondo stesso più debole.

Questa intervista è stata realizzata lo scorso 11 Febbraio 2012.