La centrale nucleare di Bushehr è attiva ed è tempo di “policy review” con l’Iran
13 Settembre 2011
All’indomani dell’anniversario della tragedia del11 settembre, l’Iran ha avviato con successo e in pompa magna la tanto discussa centrale nucleare di Bushehr. Iniziata dai tedeschi della Siemens nel 1974, la costruzione fu interrotta a seguito delle sanzioni imposte all’Iran dopo la Rivoluzione Islamica ed è solo negli anni 90 – preceduto da un accordo russo iraniano sullo sviluppo dell’energia atomica a soli fini pacifici firmato il 24 agosto 1992 – che la costruzione fu ripresa a singhiozzo dal braccio industriale di Rosatom, Atomstroyexport.
Un percorso complesso non solo per motivi geopolitici ma anche industriali e tecnici. Chiunque vi si rechi si trova innanzi, immerso in un attanagliante caldo secco, un imponente stabilimento che non manca di ricordare una moschea: se i disegni architettonici sono rimasti tedeschi, la costruzione e la tecnologia sono russe. L’attivazione è come noto cominciata un anno fa, con la consegna di uranio avvenuta sotto l’attento monitoraggio dell’ AIEA e si conclude oggi con il suo allacciamento alla rete elettrica. Si tratta di una centrale che esprimerà un potenza di 1000 MW.
E’ una vera superstrada che porta alla centrale: bandiere, ritratti e ai suoi lati, nascosti nel deserto, stazioni radar e anti-missilistiche. La prima sorpresa è una manifestazione anti-nucleare di qualche decina di manifestanti alla porta della zona protetta. Ci tocca anche una fermata nella zona russa, un vero paese con più di 2500 persone, scuola, supermercato, centro culturale, piscina. Il termometro indica 45 C°!
Visita limitata della centrale e cerimonia di inaugurazione seguono, presiedute dal Ministro degli Esteri iraniano, Salehi, dal responsabile del nucleare iraniano Davani e dal Ministro dell’Energia Russo Smatko, assieme al Direttore Generale di Rosatom, Kirienko. Tutti a introdurre una preghiera e a celebrare l’inno nazionale iraniano.
Non c’è dubbio che questo giorno rappresenta l’espressione di un orgoglio nazionale, visto l’impegno dello stesso presidente iraniano Ahmadinejad il quale non ha smesso in portare avanti il progetto nonostante le varie pressioni mondiali. Da tre anni a questa parte l’Occidente denuncia la nascita di questa centrale come parte di un piano che porterebbe l’Iran a dotarsi di armi nucleari. Hillary Clinton aveva chiesto alla Russia di riconsiderare il suo ruolo nella costruzione della centrale, ma la Russia e Stati Uniti divergono spesso sulla politica mediorientale e forse ci conviene tornare all’indomani dell’attacco alle Twin Towers per valutare le scelte fatte e le loro conseguenze.
All’indomani della tragedia dell’attacco dell’11 Settembre, l’Iran aveva lanciato con gli USA una serie d’incontri segreti in Europa i quali, tra l’autunno del 2001 e il maggio del 2003, avevano portato le parti a discutere anche di un problema comune: l’Afghanistan. Ma le conclusioni che vennero presentate a Rumsfeld e all’amministrazione americana vennero sostanzialmente ignorate. Fallì così, per una forma di oscurantismo, un possibile accordo geografico che da un lato avrebbe consentito ai due protagonisti a rimparare a conoscersi e a ricostruire una fiducia reciproca, e dall’altro lato, avrebbe offerto la possibilità di aprire un fronte riformatore rappresentato da Khatami.
Il fallimento di questo negoziato ebbe come effetto il rafforzamento della presenza filo-iraniana in Iraq e in Afganistan, innescando la perdita del controllo su questi due paesi. L’amministrazione Obama ha cercato di riaprire un dialogo ma le tensioni interne all’Iran non hanno consentito ai protagonisti in scena di aprire uno spiraglio per la ricostruzione di un nuovo processo di riavvicinamento tra i due paesi. Durante questo periodo, la costruzione di Busher è andata avanti benché al tempo stesso la comunità internazionale abbia rafforzato le sanzioni per mettere il regime iraniano in ginocchio.
Sul fronte del nucleare, le relazioni dell’AIEA si sono susseguite, non sempre assomigliandosi. Oltre alle ‘disinformazia’ che i servizi d’intelligence di tutti paesi cercano di diffondere, le relazioni dell’AIEA hanno di fatto evidenziato che non ci sono prove di un programma nucleare a fini militari. Parebbere che la disponibilità delle autorità iraniane a collaborare con la comunità internazionale sia aumentata negli ultimi tempi, come tra l’altro ha chiaramente auspicato ancora il ministro degli esteri russo Lavrov.
Venendo al nocciolo della questione, l’impianto di Bushehr è diventato a vario titolo un simbolo e ci chiama in causa come Occidente. Prima di tutto deve essere fatta pressione sugli iraniani per impedire la proliferazione del nucleare militare. A questo proposito le necessarie garanzie che l’Iran deve dare non devono finere sulla china del programma nucleare iracheno, visto che tanti eserciti in giro per il mondo di armi di distruzione di massa ne cercano in abbondanza. Serve sicuramente fermezza e serietà. Dal punto di vista operativo, in questo specifico contesto, gli accordi tra Russia e Iran prevedono che l’uranio una volta utilizzato nella centrale per produrre elettricità venga rimandato in Russia.
In secondo luogo, la sicurezza degli impianti nucleari: senza dimenticare Fukushima, si deve prendere atto che in un mondo che vede i consumi energetici esponenzialmente in crescita, non ci si può permettere di rinunciare alla fonte nucleare. In questo contesto, la tecnologia russa che ormai è leader nello sviluppo internazionale e offre tutte le garanzie attualmente a disposizione (si dica che la tecnologia usata a Bushehr è in grado di resistere a terremoti di 9 gradi sulla scala Richter). In tal senso al prossimo summit del AIEA a Vienna in Ottobre, si ridiscutera delle norme sulla sicurezza delle proposte avanzate da Kirienko lo scorso giugno.
Terzo, il lancio di questa centrale è un simbolo per quei tutti paesi che devono diversificare le loro fonti energetiche: si pensi agli altri paesi mediorientali come la Turchia, l’Egitto, la Giordania, oppure ai paese africani e sud americani, realtà ove la tecnologia russa si è già fatta avanti dopo i successi di India e Cina.
L’’attivazione di Busher dovrebbe interpellarci sulle nostre scelte geopolitiche. Le primavere arabe, dopo i primi e inevitabili entusiasmi, devono essere analizzate attentamente. E’ ancora molto presto per trarre conclusioni e volendo prendere la Libia come tavolo di prova per una ridistribuzione delle influenze internazionali, molti interrogativi sulla sua stabilità nel futuro restano senza risposta.
Il deteriorarsi dei rapporti tra Turchia e Israele deve farci ripensare un nuovo corso di stabilizzazione mediorientale, a maggior ragione in un momento in cui la Turchia – che da qualche anno si sta ricucendo un ruolo da protagonista nella regione – offre al mondo arabo da un lato un’alternativa all’Iran e dall’altro, in un momento di fibrillazioni con lo Stato ebraico, si impegna a dare una contro-partita agli Stati Uniti magari per l’installazione di base anti-missilistiche americane sul territorio turco alla frontiera con l’Iran.
E’ il momento giusto per vivisezionare la realtà iraniana, cercare di valutarne le eventuali linee di frattura interne, ovvero individuare i conflitti tra gruppi maggiormente laici e disposti alla modernizzazione e coloro invece più conservatori e religiosi. E’ insomma giunto il tempo di intraprendere una review dei rapporti con l’antica Persia, stavolta senza precondizioni.