Sui respingimenti la Corte di Strasburgo pontifica ma non dà rimedi
24 Febbraio 2012
La Corte europea di Strasburgo ha condannato l’Italia per il mancato rispetto dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (“Divieto di sottoporre a tortura e trattamenti degradanti”), dell’art. 13 (“Impossibilità di ricorso”) e dell’art. 4 del Protocollo Aggiuntivo(“Divieto di espulsioni collettive”). Tema, i respingimenti in acque internazionali delle imbarcazioni provenienti dalle coste del Nord-Africa, riconoscendo ai 22 dei 24 ricorrenti un risarcimento di 15.000 euro ciascuno.
La Corte di Strasburgo ha per la prima volta equiparato respingimenti collettivi alle frontiere o in alto mare alle espulsioni di chi è già sul territorio dello stato. Sotto quest’aspetto la decisione della Corte si configura come una vera e propria novità. Tuttavia, tralasciando per un attimo la questione dell’art. 4, occorre ammettere che una sentenza di questo genere è quanto mai attesa.
L’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite ha più volte denunciato lo stato dei centri di detenzione libici, censurandone a più riprese il sovraffollamento, le precarie condizioni igieniche, l’insufficienza delle cure mediche e l’inesistenza delle garanzie dell’habeas corpus. E’ pertanto nel solco tracciato dai numerosi report dell’istituzione onusiana che si inserisce la sentenza della Corte di Strasburgo del 23 febbraio scorso.
Andiamo con ordine. I ricorrenti presso la Corte europea dei diritti dell’uomo, 11 somali e 13 eritrei, facevano parte di un gruppo di 200 persone dirette dalla Libia verso l’Italia. Una volta intercettati dalla Guardia costiera italiana, i passeggeri furono immediatamente trasferiti dalle autorità militari italiane destinazione Tripoli. Sgombriamo subito il campo da facili equivoci. Non vi è alcunché da eccepire alle autorità italiane. I cosiddetti respingimenti altro non sono che la fedele applicazione delle disposizioni del “Trattato d’amicizia” italo – libico, firmato a Roma il 30 agosto 2008 ed entrato in vigore il 4 febbraio del 2009.
In punta di diritto, è come se entrambe le fazioni in causa fossero dalla parte del giusto. Da un lato il governo italiano, forte dell’esistenza dell’accordo con la Libia. Dall’altro, i giudici della Corte europea, diretta emanazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950 (anch’essa ratificata dall’Italia). Comunque sia, questa è l’ennesima epifania dell’estrema frammentarietà del diritto internazionale, nonché della sua aleatorietà. Paradossalmente, l’Italia si trova nella condizione di avere torto a Strasburgo ma ragione in sede di applicazione del “Trattato d’amicizia”.
Tralasciando per un istante i tecnicismi di carattere giuridico, gli aspetti politici della vicenda meritano di essere analizzati. L’Italia è terra di frontiera. Nonostante gli avvenimenti oggetto della decisione risalgano al 2009, non si può non tener conto di un dato: il nostro paese, di fronte all’emergenza migratoria post primavere arabe dell’anno appena trascorso, ha dovuto affrontare esclusivamente con le sue forze un’ondata biblica di questo tipo.
L’Europa si è rivelata del tutto assente nei giorni caldi dell’emergenza. Tutti abbiamo ancora negli occhi le immagini di Lampedusa, isoletta a Sud della Sicilia di soli 40 km di superficie, colma fino all’inverosimile. E tutti ricordiamo l’assoluto menefreghismo europeo. Senza contare che surrettiziamente si sta tentando di inserire, accanto alle cause di discriminazioni politiche, razziali o religiose, la fattispecie di rifugiato economico, una figura che permetterebbe a chiunque si dimostrasse indigente di entrare nel nostro territorio nazionale.
Oltretutto, secondo il ragionamento della Corte, i respingimenti in alto mare impedirebbero la prima “scrematura” tra clandestini semplici e richiedenti asilo. Ma l’enorme quantità di flussi e la particolarità dei nostri luoghi di approdo rendono questo screening il più delle volte praticamente impossibile.
Su questo ha avuto modo di pronunciarsi ieri anche Gaetano Quagliariello, senatore del Pdl. “ Dopo il danno, la beffa – afferma Quagliariello – L’Italia paga il prezzo più alto della crisi del Nord-Africa attualmente accoglie 6000 minori non accompagnati che gravano sull’erario per circa 150 euro al giorno, e continueremo a farlo.
L’Europa si è ben guardata dal condividere questo fardello anche se, come in Libia, il nostro paese ha dimostrato solidarietà europea ed atlantica. Per tutto questo ora veniamo condannati. Siamo al paradosso, e il paradosso conferma che un’Europa che non è in grado di affrontare insieme e solidalmente uno dei più grandi problemi del terzo millennio rischia di non avere nemmeno la forza per difendere la propria moneta e le proprie istituzioni”.