Adesso i giudici ritireranno dal mercato “Gomorra”?
19 Settembre 2011
"Hanno ucciso Gomorra!", ha strepitato Roberto Saviano su Repubblica. Motivo della doglianza, il capitombolo dritto verso l’archivio e il proscioglimento per prescrizione di tutti gli imputati del processo "Cassiopea" in materia di traffico dei rifiuti, dai cui atti d’accusa lo scrittore aveva attinto a piene mani per la sua prima (e finora unica) fatica letteraria.
Saviano liquida come "formalismi burocratici usati con il solo obiettivo di rallentare" i macroscopici pasticci in termini di competenza territoriale e funzionale che nei sette anni dalla richiesta di rinvio a giudizio dei 98 imputati hanno determinato il trasloco degli incartamenti dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere (la stessa che pur auto-dichiarandosi incompetente arrestò la moglie dell’allora Guardasigilli Clemente Mastella) agli uffici della magistratura di Napoli (il cui rigore in tema di competenza è riscontrabile dalle cronache di questi giorni…) e di lì di nuovo a Santa Maria Capua Vetere.
Lo scrittore partenopeo, bontà sua, concede solo un vago accenno alla "fragilità estrema del nostro sistema giudiziario". Per lui, incline a scorgere dietro ad ogni evento che contraddica i suoi assiomi l’ombra di una Spectre al servizio delle forze del male, il naufragio di "Cassiopea" non è la dimostrazione che legittimare la violazione delle regole processuali per abbattere Silvio Berlusconi rischia di istituzionalizzare l’arbitrio e rende quantomeno ipocrita la conseguente indignazione, ma sarebbe la prova che nulla è "più difficile di dimostrare in tribunale le responsabilità del nord Italia nelle dinamiche mafiose del nostro Paese". Insomma, a impedire l’emissione di un giudizio sui protagonisti-ombra di Gomorra non sarebbero stati solo gli errori dei magistrati (ben più di "formalismi burocratici", visto che il principio del giudice naturale è scolpito nella Costituzione italiana e che nel processo penale la procedura è sostanza perché salvaguarda i diritti fondamentali di ogni cittadino), ma qualche oscura forza padana che avrebbe chissà come ostacolato la trasformazione della verità letteraria in verità processuale.
A questo punto non sapremo mai se gli imputati di "Cassiopea" fossero responsabili o meno dei reati che venivano loro contestati. Come cittadini non sappiamo se sperare che fossero innocenti (perché almeno la prescrizione non avrebbe lasciato dei criminali a piede libero) o colpevoli (perché al di là della sorte del processo, il tribunale mediatico e dell’opinione pubblica li ha già condannati, e in un Paese civile è intollerabile che ciò possa accadere a degli innocenti).
In ogni caso, per quanto solide possano essere le argomentazioni dell’accusa, la prescrizione è a tutti gli effetti una forma di proscioglimento, anche solo per mancato accertamento processuale della colpevolezza. D’ora in avanti nessuno potrà più tacciare di reità gli imputati di "Cassiopea" né considerare verità storiche i fatti oggetto di imputazione, perché ciò sarebbe considerato diffamatorio.
Viene dunque da chiedersi che ne sarà di "Gomorra" e dei due milioni e mezzo di copie vendute e circolanti in giro per il mondo. Lungi da noi augurarci un simile epilogo, ma se pensiamo che appena tre giorni fa il tribunale di Milano ha ordinato la distruzione del libro "Falce e carrello" per concorrenza sleale contro le cooperative rosse, sorprende che il loquace Saviano non abbia trovato nemmeno una parola da spendere a difesa del povero Caprotti e della sua libertà di espressione.