Dietro i toni baldanzosi di Bersani c’è lo spettro di un’ipoteca sulla leadership

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Dietro i toni baldanzosi di Bersani c’è lo spettro di un’ipoteca sulla leadership

16 Novembre 2011

Entrano in campo le riserve della Repubblica e adesso Pier Luigi Bersani teme di perdere il posto da titolare. “Ottima squadra”, “grande ricchezza di competenze”, “impensabile immaginare di meglio”. Nei minuti immediatamente successivi l’annuncio della nuova squadra di governo, il Pd si scatena e fa crepitare le agenzie con dichiarazioni tutte sintonizzate sulla frequenza della più assoluta soddisfazione. Nomi di qualità, si commenta subito da Via del Nazareno, “ora ci sono le condizioni per lavorare bene in Parlamento”.

D’altra parte da giorni il leit motiv – o forse sarebbe il caso di dire la parola d’ordine – è sempre la stessa: “Non siamo mai stati così uniti”. Gli umori reali, però, sono ben diversi. E il più preoccupato è proprio il segretario che inizia a sentirsi stretto in una trappola, protagonista, suo malgrado, di un quadro politico in cui la posizione di forza regalatagli dalle dimissioni del governo Berlusconi rischia di essere sottoposta a una inevitabile erosione. Bersani ha la sensazione che la grande occasione di vincere le elezioni, con lui come candidato premier, stia svanendo come neve al sole e che l’unica anima destinata a rafforzarsi sia quella cattocomunista dell’azionismo torinese. Ma questo non è l’unico spettro con cui il dirigente emiliano dovrà fare i conti.

La presenza del Pd nel governo come principale azionista politico insieme al Pdl comporta, ad esempio, il rischio di uno strappo con tutta una serie di mondi vicini e collaterali. Quali conseguenze avrà il governo Monti – e l’inevitabile offensiva lacrime e sangue – sul patto di Vasto? Quali effetti ci saranno sui rapporti con l’Idv di Antonio Di Pietro, attestatosi sulla linea di un appoggio “wait and see” all’esecutivo, destinato a produrre – è facile prevederlo – una dose industriale di distinguo? E che fine farà l’asse preferenziale con la Cgil e con Nichi Vendola, con la sinistra e quella parte di elettorato poco incline e ingoiare bocconi amari? La prima dichiarazione del governatore pugliese, in questo senso, non invita certo all’ottimismo.

“Scorrendo la lista dei ministri, a prescindere dall’autorevolezza e dalla competenza delle singole personalità è difficile non percepire segni di continuità con il passato. Un passato che resiste, che dura, che potrebbe tornare a danzare, con le sue ombre, attorno al senatore Monti. Ci riserviamo di esprimere un giudizio compiuto e sgombro da preconcetti – conclude il leader di Sel – dopo aver ascoltato quelle dichiarazioni programmatiche, da cui l’Italia si aspetta una radicale discontinuità, nel senso dell’equità e della giustizia sociale”. La sensazione, insomma, è che il segretario – ma anche il Pd nel suo complesso – abbiano ben poco da guadagnare dal nuovo scenario. E non solo sul piano politico ma anche su quello che riguarda le ambizioni personali.  

Se l’operazione Monti andrà male, infatti, è pressoché scontato che Bersani possa pagarne il prezzo in termini di leadership. Se invece l’esperimento bancario-tecnocratico dovesse andare bene, la tentazione del centrosinistra di affidarsi a Corrado Passera per avere il consueto front-man rassicurante potrebbe prendere corpo. A questo punto ci si chiede se il segretario, passata l’ondata di generale euforia per l’insediamento del professore bocconiano, non finirà per sedersi a tavolino a rifare i suoi calcoli. In questo senso un primo allarme è stato fatto scattare da Francesco Rutelli che ha inquadrato in maniera nitida il rischio di un progressivo disimpegno da parte del principale partito di opposizione.

“Vedo insidie gravi sul cammino” di Monti “e l’atteggiamento del Pd è preoccupante”. Per Rutelli una parte dei democratici “potrebbe trincerarsi dietro Di Pietro, inseguendo tre risultati in un solo colpo: Berlusconi allontanato dalla scena, Monti che svolge il lavoro più difficile, elezioni anticipate senza dover passare delle primarie”. Sarebbe questo, a suo avviso “il piano di una parte del Pd”. Un timore, quello delle mani libere della formazione di Via del Nazareno, che rischia di concretizzarsi alla prima occasione utile.