Colpirne uno per educarne 100
21 Settembre 2011
Le avvisaglie andavano accumulandosi da giorni e oggi i giornali danno conferma di quello che tutti si aspettavano, con qualcosa di più: il procuratore capo di Bari, Antonio Laudati è indagato dalla procura di Lecce per abuso d’ufficio, favoreggiamento e – per non farsi mancare nulla – tentata violenza privata.
L’operazione che ha condotto a tutto ciò ha avuto il suo degno avvio con la necessaria dose di lettere anonime e delazioni – di quelle che di solito finiscono nell’immondizia e invece stavolta sono state giudiziosamente raccolte in una cartelletta del Csm. La miccia però è stata lunga affinchè l’esplosione dell’indagine fosse massimamente letale.
Al misterioso corvo si è aggiunto l’esposto del Csm dell’ex pm Pino Scelsi, primo titolare dell’inchiesta Tarantini&C., poi è arrivata la decisione della procura di Napoli – Woodcock&C. – di trasmettere le intercettazioni in cui Tarantini e Lavitola parlano tra loro di Laudati (Tarantini ha poi ammesso di aver millantato credito per impressionare l’amico), il crescendo si è fatto drammatico con l’audizione di Scelsi al Csm il 19 settembre, poi le indiscrezioni sulla sua iscrizione al registro degli indagati, oggi la conferma con il contorno di veleni e intercettazioni, per arrivare al 22 settembre, giorno in cui il procuratore dovrà essere ascoltato a palazzo dei Marescialli, ormai cotto a puntino.
L’apparato ideologico a sostegno dell’operazione lo ha fornito con rara lucidità Giovanna Milella sulla Repubblica del 16 settembre. Se si legge il suo articolo si comprende perfettamente il ribaltamento dei canoni classici della giustizia e della sua missione riparatrice. L’emergenza berlusconiana richiede la formazione di un “giudice” nuovo, uomini e donne che sorvolino regole a garanzie e scendano come saette su colpevoli veri e presunti e infliggano la meritata retribuzione, meglio se pubblica e sommaria.
Nella formazione di questa nuova generazione di operatori del diritto, chi resiste, chi ancora si aggrappa alle vecchie regole e ai vecchi costumi va eliminato perché nemico del popolo e della sua giusta fame di vendetta. Laudati è uno di questi: le sue colpe? Evidenti e senza attenuanti. I brogliacci con le centomila intercettazioni sono “rimasti nel cassetto dal 23 giugno quando la Gdf li ha consegnati”. Nel cassetto, capito, e non invece sulle pagine dei giornali, prima che fossero depositate agli atti, per la gioia dei direttori e dei lettori ormai addicted , come accadeva regolarmente ai tempi di Scelsi. Nel cassetto! Potete immaginare infamia più grave?
Non basta: Laudati ha incaricato dei sostituiti di “riassumere” i passaggi non rilevanti delle 100.000 intercettazioni. Riassunti e non trascrizioni, eppoi “niente file o chiavette” lamenta la Milella (orfana del copia-incolla) ma “solo copie cartacee”. Può Repubblica fare a meno della sua dose quotidiana di sbobinature? (Sembra che Ezio Mauro sia andato ai matti al pensiero di avere in mano solo riassunti). Può Repubblica fare a meno di pubblicare a titoli di scatola e magari in versione audio sul sito gli eventuali sfoghi di Berlusconi sulla Merkel, ovviamente per il bene le paese e della libertà di stampa? Può un magistrato che abbia simili dubbi essere al passo con in tempi e con le supreme decisioni che essi richiedono? Può un procuratore chiedersi, magari per un fuggevole istante, se quella valanga di intercettazioni contro un presidente del Consiglio e un parlamentare, rivestano qualche profilo di illegalità? Ovviamente no, perché in questo modo (senza gossip e senza “chiavette”) “gli atti opacizzano le responsabilità del premier”. Non sia mai che – anche solo per un attimo – si perdano le tracce della patonza e delle sue giravolte.
Questa è la colpa che si evoca contro Laudati: orchestrare una strategia per “dare tempo al premier”. La prova: la sua inchiesta ci ha messo ben due anni e mezzo per arrivare a compimento (e per arrivare all’arresto di Tarantini). Un tempo infinito secondo i nuovi shogun del diritto e le esigenze dei tempi che corrono. Nessuno però si lamenta o indaga i pm che hanno tenuto a bagnomaria le inchieste contro Tarantini quando queste riguardavano i suoi affari con il mondo impreditorial-dalemiano pugliese. Per quelle inchieste nove o dieci anni erano un tempo lecito e anzi opportuno, tanto che uno di quegli inquirenti oggi siede giustamente in quel Csm che dovrà processare Laudati.
Laudati dunque rema contro, è rimasto indietro, non si è adeguato al nuovo modello di giudice popolare e militante, vuole tenere le mani pulite, inforcare gli occhiali, leggere le carte e dunque va polpottianamente rieducato.
Si colpisce lui per educarne cento.