Obama è politicamente morto. Ma attenzione, potrebbe risorgere
18 Novembre 2011
Barack Hussein Obama è morto. Politicamente parlando, ovvio. Cala nel gradimento pubblico come un bond argentino d’antan o come la credibilità del debito sovrano greco, e questo non da ora. Motivo per cui, 90 su 100, gli restano dodici mesi esatti per “completare il mandato”. Lo sanno tutti insomma, che c’è solo un anno di tempo per fare guai: e a saperlo è lui per primo; di conseguenza, si sta attrezzando.
Altrimenti non si spiegherebbe l’accelerata involutiva, a picco, della policy dell’Amministrazione in carica. Per lunghi messi si è scritto e si è ripetuto – anche il sottoscritto da queste colonne – che il vero nome di Obama era ambiguità. Che molto di ciò che faceva (male) era dovuto a inesperienza; meglio, a incompetenza. Che la Casa Bianca navigava a vista incocciando più di un iceberg e che agiva non tenendo nascosto alla mano destra ciò che faceva la sinistra ma banalmente dimenticando di avvisarla. Resta tutto vero. Ma dopo così tanto tempo è evidente che il persistere dell’irrazionalità politica al potere oggi negli Stati Uniti configura un vero e proprio – cosciente – sistema di governo.
Non è più, cioè, il tempo in cui Obama non ne azzeccava nemmeno una. Oggi è il momento in cui Obama le azzecca tutte. Solo che non una va bene, non una è buona, non una è ciò che gli americani si meritano, i suoi elettori si attendevano, il Paese è disposto a riconoscere come proprio.
Ma di queste cose a Obama evidentemente non interessa. Forse ha pure calcolato che tutto questo gli può costare la rielezione, ma ha deciso che la posta in gioco vale la candela. La situazione in cui si è andato a infilare è il contrario stesso di ciò per cui è andato al potere, ma lui fa spallucce.
Obama oggi è un tecnico che governa cesellando con perizia ogni mossa in barba al voto degli americani. La democrazia non gli interessa più. Il “sacro lavacro” elettorale meno ancora. Ha un compito e ha deciso come svolgerlo. Si autolegittima e si autoalimenta. Il mondo attorno a lui crolla e minaccia di sotterrarlo, ma a lui non importa. Lui è un cavaliere senza macchia né paura, è un martire della causa, è un paladino disposto anche all’ultimo sacrificio. Gli Stati Uniti dopo di lui corrono il grande rischio di essere irriconoscibili, ma tutto si può immolare se la meta è elevata.
Che senso avrebbero altrimenti le sue non-risposte in economia, il suo gesto benedicente tanto quanto ficcanasante a proposito delle vicende politiche di altri paesi, per esempio l’Italia? Che significa sennò l’incapacità di reagire di fronte all’ultimo macellaio comunista del mondo, la Cina? Perché la prona quiescenza nei confronti del vento fondamentalista che sta spazzando le “primavere” arabe? Che vuol dire, se così non fosse, la brusca impennata su temi riguardanti l’omosessualità, il diritto di famiglia e quello alla vita nascente? In questo campo non si è mai visto un presidente prendere tanto nettamente quanto formalmente posizione (per Obama è incostituzionale – i-n-c-o-s-t-i-t-u-z-i-o-n-a-l-e – la legge federale che tutela il matrimonio monogamico naturale), soprattutto dalla parte della barricata su cui è schierata oggi la Casa Bianca. Come mai stupidaggini livorose come quella di fermare benemerite charity cattoliche se non solamente perché lì non si svilisce né si deturpa la vita umana (di chiunque, anche dei non cattolici…) e pure un po’ per ritorsione contro l’episcopato statunitense che ha dichiarato guerra culturale alla sua Amministrazione?
Obama è morto, e siccome non ha più nulla da perdere si sta scatenando come non mai. Certo, fra un anno sarà finita: come si riprenderà il Paese dall’uragano Barack?
Obama è morto, e per questo crede che ogni colpo gli sia consentito. Ma se per caso Obama avesse avuto un ruolo nel tentativo di denigrare Herman Cain e Newt Gingrich il suo obiettivo sarebbe però molto meno quello d’indebolire potenziali avversari elettorali che il mero gusto d’interpretare live il detto “dopo di me il diluvio”.
Per questo se gli avversari politici di Obama si perdono dietro i veri o presunti scandali Cain e Gingrich Obama, che adesso è morto, potrebbe pure correre il rischio di risorgere. La storia ammette portenti. C’è giusto un anno di tempo per scongiurare questa possibilità letteralmente contro natura.
Marco Respinti è presidente del Columbia Institute, direttore del Centro Studi Russell Kirk e autore di L’ora dei “Tea Party”. Diario di una rivolta americana.