Monti parla alla politica e ai mercati, ma sulla cura (per ora) dice e non dice
18 Novembre 2011
Un discorso misurato, dosato nelle parole e nei toni. Un discorso al parlamento dai cui voti dipenderà il destino dell’esecutivo e messaggi ai mercati e all’Europa per dire che quei 39 punti della lettera di Trichet nell’agenda di governo ci sono. Al suo esordio in Senato per la fiducia, il professore-premier traccia le linee guida usando tre parole-chiave: rigore, crescita e equità. Non esce mai da quel perimetro per non irritare troppo le forze politiche che in un momento difficile per il Paese hanno scelto responsabilmente di accordargli disponibilità e sostegno, tradotti poi nel voto al Senato con una fiducia larghissima.
D’altro canto ha bisogno di rassicurare subito l’Europa e con lei i mercati tentando di arginare la corsa dello spread e al tempo stesso dimostrare che quanto promesso e avviato dal governo Berlusconi, sarà portato a termine dal suo esecutivo. Gli unici temi nei quali si spinge più avanti sono l’Ici sulla prima casa la cui abolizione ha definito ‘un’anomalia’ tutta italiana nel panorama dell’Eurozona e la mano pesante nella lotta all’evasione fiscale, peraltro ripartendo dai risultati concreti che il suo predecessore aveva già conseguito in questi tre anni. Semmai, resta da capire meglio e di più la parte relativa all’uso che nella visione di Monti dovrà essere sempre più preminente della moneta elettronica e quella sulla tracciabilità del contante. La sensazione è che intenda adeguare il modello italiano a quello tedesco e francese e su questo qualche perplessità resta. Così come non è chiaro l’annuncio di un prelievo sulla “ricchezza immobiliare” che molti hanno letto come una patrimoniale anche se Monti si è guardato bene dal pronunciare la parola fatidica.
Sul capitolo Province – altro punto del programma del governo Berlusconi – il premier è sembrato in linea con quanto il centrodestra (al di là delle resistenze della Lega ma anche di una parte minoritaria del Pdl e del Pd) ha tracciato (riforma costituzionale per arrivare all’abolizione degli enti) aggiungendo l’idea di una legge ordinaria, intanto, per la riorganizzazione e il riordino degli enti. La linea della continuità torna sul tema del pareggio di bilancio in Costituzione, sull’attuazione delle manovre economiche varate in estate, dalla rapida approvazione della delega fiscale fino al dossier sui costi della politica e alla riforma Brunetta.
Cauto, invece, sulla riforma delle pensioni che fa intendere si farà, anche se non dice come e altrettanto prudente è apparso sul delicato capitolo della riforma del mercato del lavoro. Questione quest’ultima sul quale specialmente nel Pd convivono posizioni diverse e in alcuni casi contrastanti. In sostanza, Monti è sembrato delineare per sommi capi l’idea di Pietro Ichino ma non si è spinto oltre perché sa che questo potrebbe essere un terreno minato e non a caso esordisce premettendo che agirà “col consenso delle parti sociali”.
Il suo, dice, sarà un “governo di impegno nazionale” per “rinsaldare le relazioni civili e nazionali fondandole sul senso dello Stato”; in altre parole una sorta di “riconciliazione tra cittadini e istituzioni”. E in questa definizione c’è chiaro il richiamo al ruolo dei partiti in parlamento rispetto ai quali il premier sa che dovrà instaurare un rapporto di collaborazione ma anche di confronto e mediazione. Per questo, ha elencato provvedimenti sui quali sia il Pdl che il Pd ma pure la stessa Idv hanno sensibilità e posizioni distanti.
Certo, Monti sa di poter contare su ‘maggioranze variabili’ a seconda di ciò che il governo sottoporrà al parlamento e tuttavia proprio questa opzione potrebbe rivelarsi piuttosto rischiosa. Tornando alle cose da fare e a come farle, quella dell’Ici sulla casa che cita nel suo intervento, non sarà una medicina facile da digerire per il centrodestra, così come la riforma del mercato del lavoro per il Pd. Non è un caso che proprio dai partiti (specialmente il Pdl) incassi disponibilità e al tempo stesso un ammonimento, della serie: niente a scatola chiusa, vigileremo sulle misure proposte.
Lo dice, ad esempio, in modo netto Gaetano Quagliariello nel suo intervento al Senato sottolineando che “assai più che dai programmi, a dire il vero ancora vaghi, il nostro giudizio sull’operato del governo dipenderà da quanto esso riuscirà a fare giorno dopo giorno di fronte alla crisi”. I margini di disponibilità nei confronti dell’azione del premier ci sono e sono “ampi” anche perché di fronte alla gravità di questa crisi “ chi non mostrasse ampi margini di comporterebbe da ideologo e non da politico”. E’ su questo che il vicepresidente dei senatori Pdl insiste quando dice che “la nostra scelta di far nascere il suo governo, e persino quella di far sì che fosse composto da soli tecnici, è scelta tutta quanta politica”.
Scelta politica che muove dalla contesto e dalla gravità di una crisi globale e non solo italiana e della cause, prima di tutto esterne, che l’hanno scatenata ma che non hanno impedito al governo Berlusconi di mettere in atto provvedimenti per fronteggiarne la portata e che oggi smentiscono, così come fanno i mercati, le “fallaci profezie secondo le quali le dimissioni di Berlusconi sarebbero valse 100, 200, 300 punti di spread”.
Ma c’è un altro passaggio, non secondario, dell’intervento di Quagliariello che può essere letto anche come un messaggio a chi vorrebbe trasformare Monti (e con lui parte dei suoi ministri) nel prossimo candidato premier magari alla testa di uno schieramento Pd-Terzo Polo (con annessa Fli, Bocchino docet). Tentazioni che con la riforma della legge elettorale – di cui questo parlamento ha già detto che si incaricherà – potrebbero far vagheggiare chissà quali schemi da prima Repubblica.
Su questo Quagliariello è intransigente: “Sappiamo bene che ci troviamo di fronte a un bivio. Da questa esperienza il giovane bipolarismo potrà uscire decomposto, oppure la democrazia maggioritaria potrà risultare rinsaldata. Molto dipenderà dal ruolo che le principali forze politiche decideranno di interpretare; dalla loro capacità di assumersi insieme la responsabilità di scelte dure ma ineluttabili in campo economico, di preservare al contempo una fisiologia dialettica parlamentare sui temi caratterizzanti le rispettive identità, e di portare a termine quelle riforme delle istituzioni e dei regolamenti che riescano ad aggiornare e a rafforzare il nostro bipolarismo”.
In questo schema il vicepresidente dei senatori Pdl ci tira dentro anche “il nuovo attivismo politico dei cattolici di cui questo governo è positiva espressione, respingendo le sirene nostalgiche di una riedizione della Dc, magari anche solo riveduta e corretta. Anche perché solo in questo solco, che oserei definire ‘ratzingeriano’, potrà continuare a svilupparsi la collaborazione fra credenti e non credenti sul comune terreno di principi che sono parte costitutiva della nostra identità nazionale”.
L’esordio di Monti al Senato che oggi replica alla Camera per incassare la fiducia, ha coinciso (o forse no) col ritorno in campo di Silvio Berlusconi. Prima nella riunione coi senatori, poi nelle dichiarazioni ai cronisti, il leit motiv è stato identico: di sedersi ai giardinetti o di scrivere le sue memorie non ci pensa affatto. Vuole essere ancora protagonista e oggi sarà lui a tenere il discorso alla Camera tra i banchi del Pdl. Non è un caso se, in soldoni, fa intendere che così come ha consentito la nascita del governo Monti facendo un passo indietro, la disponibilità a sostenerlo o meno verrà misurata sui fatti. Un sì condizionato.
La mossa del Cav. ha tre obiettivi politici. Il primo: stoppare l’Opa che Casini ha di fatto avviato sul Pdl prima con la campagna-acquisti tra un manipolo di deputati e in prospettiva con un pressing che il leader terzopolista potrebbe sempre attivare nei prossimi mesi di questa legislatura. Il secondo: tenere alta l’attenzione sulle elezioni che sono il traguardo fisiologico per un governo tecnico a tempo, incaricato di attuare le prescrizioni di Trichet, e il rilancio di quella democrazia che nella sovranità popolare trova la sua vera essenza (come recita la Costituzione) , è un buon viatico per rinserrare i ranghi pidiellini e dare la sveglia a quei malpancisti che potrebbero essere tentati dalle sirene di Casini&C. Terzo: rilanciare subito l’azione del partito sul territorio attraverso la stagione dei congressi locali ma annunciando fin d’ora per marzo quello nazionale.
Non è un Cav. da giardinetti, non è un Cav. che molla la spugna. Soprattutto dopo aver assistito alle scene da piazzale Loreto col quale nel giorno delle sue dimissioni c’è chi, fuori e dentro il recinto del centrosinistra, era già sicuro di cancellare dalla storia repubblicana Berlusconi e con lui il berlusconismo. E magari pure il bipolarismo.