All’Onu Obama parla chiaro e rifiuta la mossa di riconoscimento di Abbas
22 Settembre 2011
di Andrea Doria
“Peace it’s hard work”. Così Barack Obama ieri all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Non è ancora chiaro come andrà a finire la partita che l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) sta giocando alle Nazioni Unite per il riconoscimento della propria Statualità. Ieri il presidente statunitense, Barack Obama, nel suo discorso alla Assemblea Generale dell’Onu, ha dato una chiara idea della posizione statunitense sulla faccenda, dopo la catastrofica sortita del Maggio scorso del presidente Obama sul ritorno a una base negoziale tra ANP e Israele sulle linee armistiziali del 1967.
Di fatto il presidente americano ha apertamente negato il proprio sostegno alla mossa di Abbas: “La questione israelo-palestinese non si risolve con discorsi o risoluzioni delle Nazioni Unite. Se fosse così semplice, la questione sarebbe stata risolta da tempo”. A dire: l’accordo deve essere fatto con gli israeliani, non con la comunità internazionale.
Ma Obama ha fatto anche un appello all’onestà: “Cerchiamo di essere onesti con noi stessi. Israele è circondata da paesi che l’hanno attaccata ripetutamente. Cittadini israeliani sono stati uccisi da missili sparati contro le loro abitazioni private e altri sono morti in attentati negli autobus. I bambini israeliani crescono sapendo che ad altri nella regione viene insegnato a odiarli”.
Il presidente ha continuato dicendo che “Israele è un paese di 8 milioni di abitanti che si affaccia sul mondo ove paesi molto più grandi minacciano di cancellarla dalle mappe geografiche. … Questi fono fatti! … Israele merita il riconoscimento dei paesi vicini. E gli amici dei palestinesi non gli fanno un piacere non ricordando queste verità”.Una bella sterzata rispetto alle proposte del Maggio scorso, quando appunto in concomitanza con l’arrivo di Netanyahu a Washington DC, Barack Obama se uscì con la proposta delle linee del 1967.
In ballo in queste ore c’è anche il piano francese del presidente Sarkozy. Durante il suo intervento in Assemblea, Sarkozy ha proposto alla Palestina lo status di "membro osservatore", in attesa che il processo di pace riparta. Infatti, perché ciò avvenga, al Quai d’Orsay (il ministero degli affari esteri francese) hanno sfornato il piano “uno+sei+sei”. Un mese per riattivare i contatti tra israeliani e palestinesi, sei mesi per venirsene fuori con un accordo, sei mesi per ratificarlo. Chiaramente nel frattempo Sarkozy sarà in piena campagna elettorale, e potrà dire di essere il grande fautore del rilancio del processo di pace nell’annoso conflitto israelo-palestinese. Ah, la vanité des rois français!
Nei corridoi del palazzo di vetro a New York si lavora anche perché la richiesta di riconoscimento di piena titolarità di Stato membro dell’Onu perseguita da Abbas non approdi in Consiglio di Sicurezza dove peraltro il governo statunitense e/o quello francese potrebbero apporre il proprio veto, benché tale ipotesi venga considerata un’extrema ratio tanto dagli americani che dai francesi, timorosi che l’apposizione di un veto possa far scoppiare un’ondata di proteste a Gaza, in Cisgiordania e altrove nel mondo arabo.
Per Abbas esiste anche la possibilità di ricorrere a un voto in Assemblea Generale ove i palestinesi otterrebbero, con buona probabilità, una maggioranza vicina ai due terzi sui 193 Stati che la compongono, benché le votazioni dell’Assemblea non abbiano alcun valore vincolante rispetto al Consiglio di Sicurezza. La partita è ancora aperta e domani sapremo come andrà a finire.